Michael Collins (foto Wikimedia)

Il romanzo futurista di Giovanni Benincasa

Andrea Minuz

“Eccetera ne ha di parole” racconta una storia d’amore e la solitudine dell’astronauta Michael Collins, il più dimenticato della missione Apollo 11

Se camminate in via Tevere, nel traffico del quartiere Pinciano a Roma, potete imbattervi in una lapide datata 16 ottobre 1969 che apre uno squarcio di poesia surreale, sospesa com’è tra “Flash Gordon”, Flaiano e D’Annunzio: “In questa casa nacque, il 31 ottobre 1930, Michael Collins, intrepido astronauta della Missione Apollo 11, il primo uomo sulla luna. Roma fiera di questo suo figlio, pose a ricordo perenne”. Michael Collins è l’astronauta con meno inquadrature in “First Man”, quello che si dimenticano tutti quando si parla dell’Apollo 11, quello che è rimasto nella navicella e non ha mai messo piede sulla luna. A oscurarlo ulteriormente c’è il film che Neil Jordan ha dedicato al suo omonimo patriota irlandese. Michael Collins è ora anche il nome di un pappagallino verde, il “parrocchetto di Lesson” che campeggia nella copertina del romanzo di Giovanni Benincasa, “Eccetera ne ha di parole” (appena uscito per Baldini & Castoldi). Neanche qui è protagonista, ma si riscatta e ritorna più volte nelle pagine di questa storia costruita su un cumulo di lettere d’amore degli anni Settanta che il narratore trova per caso in una vecchia borsa di cuoio su una bancarella. Sono i frammenti della storia d’amore di Elisabetta e Giovanni, una “storia d’amore, tormentata e sofferta” che consola la sua vita mentre frana giorno per giorno, pezzo per pezzo. Ogni storia d’amore reclama fantasmi, illusioni e solitudini sconfinate e Michael Collins è l’emblema della solitudine più estrema, letterale, “cartografica”: “Mentre i due compagni saltellavano senza gravità e raccoglievano applausi e pietre lunari”, scrive Benincasa, “Collins girava dentro la navicella tutto solo e quando si trovava dall’altra parte della luna, quindi dalla parte opposta rispetto ai due compagni, perdeva i contatti radio anche con la terra: in quel momento era l’essere più lontano al mondo”. Il romanzo di Benincasa è un gioco di prestigio come quelli che fa il giovane Silvan nella sigla di “Scala reale”, vecchio programma della Rai in bianco e nero evocato nel libro. Un romanzo che si infila in un altro romanzo e in un altro ancora ma che rifugge le sfide cervellotiche della “letteratura potenziale” e rilancia casomai in modo pratico la moda del Book Crossing: “E’ un libro che va portato a passeggio, per strada, in un parco”, recita il preludio, oppure “lasciato in un banco, ma bene in vista”, insomma ovunque ci sia gente, perché serve a ritrovare una donna che si chiama Elisabetta, una donna a cui basterà leggere il titolo per capire che si sta parlando di lei.

 

Autore televisivo, inventore di programmi, scrittore, giornalista, Benincasa è abituato a giocare con le parole in modo fulmineo, rapido, a farle saltare in aria alla maniera “futurista”, con le parentesi graffe, tonde, quadre, con la marea di significati nascosti in ogni “eccetera”, con quel “Bum” con cui chiude spesso i periodi, e un finale a sorpresa come solo chi ha scritto “Carramba” si può permettere. Dentro “Eccetera” ci sono tante cose che si scontrano e che ne riflettono altre: “Chi l’ha visto”, “Se una notte d’inverno un viaggiatore”, “C’è posta per te”, Cyrano, i baci dei fotoromanzi, Christopher Walken, la scala di Penrose, “La donna che visse due volte” di Hitchcock o l’appuntamento all’Empire State Building di “Insonnia d’amore”. Michael Collins, invece, che compirà 89 anni il prossimo 31 ottobre e che oggi sembra uno dei vecchietti di “Cocoon” con due piccoli occhi neri da pappagallino, riceverà a breve la cittadinanza onoraria di Roma. L’altro giorno la giunta Raggi ha approvato la delibera in consiglio e lo vedremo forse tornare a casa, in via Tevere, per i festeggiamenti. Un ultimo “Bum” da aggiungere in appendice alla storia di Elisabetta e Giovanni.