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Sottolineatori folli

Mariarosa Mancuso

A colpi di matita o di evidenziatore blu elettrico, come devastare un libro. E non capirci niente

Brividi da biblioteca (personale). A noi succede di non trovare i libri, che pure dovrebbero esserci perché siamo sicuri di averli letti, recensiti, in tempi remoti perfino studiati. Dovrebbero, se la memoria non inganna, essere tra i titoli più o meno in ordine (romanzi divisi per lingue, ordine alfabetico, niente seconda fila, al massimo qualche volumetto di traverso). Siccome la memoria inganna, è probabile che siano invece tra i libri accatastati dove non si conoscono scaffali, solo colonnine in equilibrio precario. Cediamo, si fa prima a ricomprarli su Kindle. Trascurando il suggerimento salutistico di Alberto Arbasino: su e giù dalle scale per gli scaffali alti, a quattro zampe per i libri a terra, è tutta ginnastica.

 

A conferma del sospetto che gli altri hanno vite migliori della nostra – non sarete davvero così ingenui da credere che simili pensieri siano nati con i selfie o con Instagram? – Jacob Lambert racconta di aver trovato subito nella sua biblioteca il libro che cercava, “Ragtime” di Doctorow. Lo ha aperto, era sottolineato fino alla devastazione. Quindi ha scritto su The Millions una lettera aperta “Al giovanotto che ha rovinato la mia copia di ‘Ragtime’”. Evidentemente l’aveva comprata su una bancarella, e non l’aveva mai letta fino al momento in cui si era trovato (parole sue che gli rubiamo subito) “between books”. Se siete tra quelli che a vedere un segno o un’orecchia alle pagine svengono, fermatevi qui e non leggete oltre.

 

E’ capitato anche a noi. Tra i volumi usati in vendita al Libraccio c’era anni fa una partita di titoli assai ghiotti – non esisteva ancora il Kindle, e i soldi scarseggiavano – funestati da pesanti sottolineature a matita. Qualcuno lo abbiamo ancora, perché poi ci si affeziona, ma erano così pesanti da bucare la pagina, e abbiamo sempre cercato di figurarci chi fosse il sottolineatore folle. Siccome Jacob Lambert non scrive solo su The Millions, ma lavora anche per MAD – la rivista satirica fondata nel 1952, mamma nobile del “Saturday Night Live” e anche di David Letterman, da questo agosto purtroppo non sarà più in edicola, son sempre i migliori che se ne vanno – tenta con più successo l’identikit del suo vandalo (maschio o femmina che sia, non ha pregiudizi).

 

Sospetta che sia uno studente, uno di quelli che attaccano – più spesso, si difendono – a colpi di evidenziatore. Blu elettrico, per la precisione. Usato con generosità: certe pagine ne sono inzuppate, si fatica a leggere quel che c’è sotto. Solo a pagina 1 ci sono sette parole messe in evidenza. Si suppone, quelle da cercare sul dizionario per sapere cosa significano. Neanche la memoria dello studente doveva essere granché: Jacob Lambert nota che la parola “vaudeville” – indispensabile per leggere “Ragtime”, ambientato agli inizi del 900 – è sottolineata tre volte nelle prime sei pagine (forse, prima di cercarla, voleva accertarsi che fosse davvero indispensabile). Uno studente un po’ tardo, non solo perché cerchia di blu la parola “sexology” (lo scatenamento ormonale non gli aveva suggerito niente?). Ma perché si chiede, per iscritto sulla pagina, “ma in che anno siamo?”. Non ha visto i segnali, giusto, sennò saprebbe anche cos’è il vaudeville. E magari il nome di Houdini potrebbe suggerirgli qualcosa (invece si chiede “da che prigione è fuggito?”, ma l’illusionista fuggiva dai bauli dove si era fatto chiudere, incatenato). Mica uno può saper tutto, diranno le maestre democratiche affezionate all’ultimo della classe. Ma Doctorow lo scrive, l’anno, proprio nelle prime righe: era il 1902.