Fortunato Depero, "Il legnaiolo", 1926, olio su cartone

Carlo Betocchi e l'umile laboriosità che si fece poesia

Daniele Mencarelli

L’umiltà, come il pudore, segneranno tutta la vita del poeta, diventeranno il suo stigma, qualità in assoluta controtendenza rispetto all’epoca in cui vive

E godo la terra / bruna, e l’indistruttibile / certezza delle sue cose / già nel mio cuore si serra: / e intendo che vita / è questa, e profondissima / luce irraggio sotto i cieli / colmi di pietà infinita.

 

Carlo Betocchi ha inteso la sua vita e la poesia come slancio tra le cose terrene e quelle celesti, la sua parola è il naturale punto di coincidenza tra mondi apparentemente distanti, in realtà consanguinei.

 

Betocchi nasce a Torino il 23 maggio del 1899. Il padre, di origini ferraresi, lavora alle Ferrovie come impiegato. E’ proprio a causa di un suo trasferimento che nel 1906 la famiglia si sposta a Firenze, un trasloco che ha il sapore di un ritorno alle origini, la madre del piccolo Carlo, infatti, ha origini toscane e non ha mai dimenticato la sua terra.

 

L’impatto con le meraviglie della città fiorentina segnerà per sempre lo sguardo del Poeta. Con Firenze, la Toscana tutta, Betocchi instaurerà una relazione nutrita d’amore e meraviglia. E di Poesia. Diventerà cantore inarrivabile dei colori e delle forme fiorentine, di case, di quei tetti che tanta importanza avranno in tutta la sua produzione. Tetti come simbolo di confine tra il territorio degli umani e quello degli astri, tetti come umile riparo del focolare domestico. L’infanzia di Carlo, dei suoi fratelli Giuseppe e Anita, scorre felice, sino al 1911. E’ l’anno della morte del padre, in un certo senso della morte della fanciullezza di Betocchi, chiamato ad altri obblighi rispetto alle sue aspirazioni. La madre, sola con tre figli, manterrà la barra della famiglia, attraverso un esempio d’amore continuo, fatto di sacrifici e Vangelo.

 

Carlo studia da tecnico agrimensore, si diploma nel 1915, in questi anni, parallelamente ai lavori che svolgerà per quasi tutta la sua vita, inizia lo studio della letteratura, sempre appartato, umile. L’umiltà, come il pudore, segneranno tutta la vita di Betocchi, diventeranno il suo stigma, qualità in assoluta controtendenza rispetto all’epoca in cui vive, nutrita di poeti che faranno dell’esibizione di se stessi una vera dottrina. La sua partecipazione alla Prima guerra mondiale è vissuta senza clamori ideologici, senza fanatismi. Nel 1917 frequenta il corso sottufficiali. Viene spedito a Caporetto, poi è sul Piave, poi in Val Camonica e ad Asiago. Gli anni della guerra, rispetto ai suoi coetanei poeti, in quella che verrà ricordata come “war poets”, saranno importanti per Betocchi come esperienza umana, ma la sua poesia è e resterà altrove. Anche la guerra in Libia, cui partecipa da volontario, non fornisce grandi spunti letterari. L’epica guerresca non farà breccia nell’animo di Betocchi, saranno altre le esperienze, gli esempi che ciberanno la sua poetica. Nel 1920 inizia a lavorare come geometra, gira l’Italia di cantiere in cantiere, dalla sua Toscana alle Alpi francesi, in breve non c’è regione del centro-nord che non visiti. Questa sarà la vera linfa del poeta Betocchi: l’incontro con il mondo del lavoro, con la sua umile laboriosità, quel fantastico intreccio di vite spesso contrapposte, dove l’opera è il punto d’unione delle capacità del singolo, massima espressione umana gradita a Dio. Accanto al lavoro, ecco la poesia.

   

Nel 1923 fonda assieme agli amici di sempre, Piero Bargellini e Nicola Lisi, una prima rivista letteraria, Il calendario dei pensieri e delle pratiche solari, ma è del ’29 la nascita di quella che diventerà una delle realtà più importanti della letteratura dell’epoca: Il Frontespizio. Proprio per le Edizioni del Frontespizio, nel 1932, esce la sua prima raccolta poetica, “Realtà vince il sogno”.

  

Poche cose della vita s’invidiano come questo titolo. Una dichiarazione di poetica. Di più. Un comandamento. Uno stile di vita. Da perpetuare generazione dopo generazione.

 

La poesia di Betocchi, come il suo fare, sempre discreto, sempre in ascolto, inizia a essere apprezzato da molti. Collabora con le riviste più prestigiose dell’epoca, da Campo di Marte a Il Selvaggio, parallelamente è costretto per il lavoro ad abbandonare Firenze e a trasferirsi di città in città. Trieste. Bologna. Roma. Dà alle stampe raccolte che diventeranno il corpo di tutta la sua produzione, Altre poesie (1939), Poesie (1930-1954), Cuore di primavera (1959).

 

Smette con il lavoro di geometra nel 1953 a causa di una malattia, negli stessi anni inizia con l’insegnamento delle materie letterarie presso i conservatori, prima di Venezia, poi di Firenze, dove torna nel 1952.

 

Oramai uomo e poeta maturo, Betocchi si avvia a vivere una nuova e meravigliosa avventura: nel 1958 comincia a collaborare con la trasmissione radiofonica della Rai “L’approdo”, una delle esperienze culturali più innovative di tutta la storia del Novecento italiano, cui presero parte da Carlo Bo a Giuseppe Ungaretti, Riccardo Bacchelli ed Emilio Cecchi.

 

Carlo Betocchi muore a Bordighera il 25 maggio del 1986, con quella discrezione che ha segnato tutta una vita. La sua eredità di versi ci lascia questo esempio, questo patrimonio: Cristo accade negli umili, nella gente che lavora. Proprio come la poesia.

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