Come sorci, zitti zitti al museo
Senza dibattito, e nel disinteresse di tutti, passa la controriforma di Bonisoli
Come il fantasma Belfagor che scivola nottetempo nel Louvre. O meglio, zitti come sorci che corrono per i corridoi di un museo senza custodi. Così a tarda ora, mercoledì, il Consiglio dei ministri ha approvato la controriforma Bonisoli dei Beni culturali, apparsa all’ultimo momento nell’odg del Cdm, come ha segnalato l’Ansa. La forma è di un “nuovo regolamento”, “da adottarsi con altrettanti decreti… che introducono norme di modifica all’organizzazione del ministero”. Di fatto, uno smontaggio sistematico della legge Franceschini che ricentralizza i poteri (anche di spesa) nelle mani del ministro e dei suoi incontrollabili direttori generali. E’ simbolico che la città martire di Firenze sia la più colpita, nonostante prese di posizione autorevoli come quelle di Antonio Paolucci, ex soprintendente degli Uffizi ed ex ministro.
Quel che urge sottolineare è la modalità con cui una simile riforma viene fatta passare. Non solo senza un pubblico dibattito e senza la minima discussione parlamentare. Ma senza nemmeno la cortesia istituzionale di sottoporre il provvedimento all’esame del Consiglio superiore dei beni culturali, appena insediato, e che ne aveva fatta richiesta: è la prima volta che accade ed è significativo che lo sgarbo venga da un governo che già in altri settori ha dimostrato il massimo disprezzo per la competenza tecnica (tranne ovviamente lo staff che prepara le carte a Bonisoli), procedendo con un decisionismo opaco. E ignorando critiche come quella di Lorenzo Casini, ex consigliere giuridico del ministero: “Le poche ma gravi novità… riguardano quattro aspetti”, con “effetti nefasti sulla struttura del ministero: l’ipertrofia del centro; la mortificazione dell’amministrazione periferica; l’indebolimento del sistema museale; il caos in materia di esportazioni”.
Tutto questo, va però detto, avviene nel più disinteressato silenzio da parte dell’opposizione, segnatamente del Pd, del mondo intellettuale e della grande stampa. Come ha ben scritto Sergio Rizzo su Repubblica, in ballo c’è anche “il castello di nomine dei direttori. E pure un sacco di soldi”. Ma stavolta neppure il classico richiamo per le allodole giornaliste, follow the money, ha svegliato i guardiani dei musei.
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