Un rendering dell'interno di Palazzo Citterio

Nove domande alla sovrintendenza di Milano su perché il Brera Modern resta chiuso

Maurizio Crippa

Operazione verità. Ranaldi (o chi per lei) ci spieghino perché Palazzo Citterio non ha ancora aperto

Whodunit? Il genere giallistico potrebbe essere questo. Il romanzo di Palazzo Citterio, futura sede di Brera Modern, è un romanzo milanese (italiano) che va avanti da quasi cinquant’anni, da quando lo stato lo acquisì nel 1972 e dalla prima ideazione della “Grande Brera” del geniale direttore Franco Russoli. Ma rischia di diventare un noir, un “chi è stato?” in eterna attesa di risposte. Adesso che, maggio 2019, dopo quattro anni dall’inizio dei lavori di restauro e a oltre un anno da una inaugurazione “virtuale” (si trattò di una conferenza stampa) nell’aprile 2018, con annesso annuncio di una pronta riapertura (il direttore di Brera James Bradburne era presente, ma in platea), il nuovo museo per l’arte moderna di Milano è ancora chiuso. Qualche settimana fa, Bradburne in un incontro pubblico ha spiegato i motivi tecnici per cui il museo non può essere “già” aperto (tra l’altro: non ci sarebbe il personale, vero ministro Bonisoli?), dopo mesi di polemiche. E ha detto la sua sia su alcuni problemi tecnici, sia su alcune incongruenze relative agli interventi fatti. Ha ipotizzato, il direttore, che Brera Modern possa essere aperto realisticamente nel 2020. Ieri Alberto Artioli, architetto ed ex sovrintendente a Milano, ha scritto al Corriere della Sera per contestare Bradburne. 

 

 

Artioli ha scritto una lettera alla rubrica di posta curata da Giangiacomo Schiavi nel dorso milanese: “Viene detto che quello di Palazzo Citterio sarebbe un restauro sbagliato perché l’edifico storico non consente ampie superfici espositive… Io credo che invece stia proprio qui la qualità dell’intervento”, scrive. “Le modifiche che vengono ora proposte (diverso ingresso, nuova scala, variazione del percorso) anche se legittime attengono tuttavia a scelte e gusti personali”. E si unisce al coro “sarebbe assurdo, ora che il palazzo è pronto, se si rimettesse tutto in discussione per le opinabili scelte dei vari direttori”. Ma il problema, Artioli permettendo, è: il palazzo non è pronto. E non lo è anche per le “opinabili scelte” di chi ha condotto le operazioni e dei problemi tecnici che non sono stati risolti. Davanti a queste difese d’ufficio, ci sono un po’ di domande a cui, prima o poi, sarebbe utile che qualcuno rispondesse, dalla Sovrintendenza. Magari la sovrintendente ai Beni archeologici, Belle arti e Paesaggio della Città Metropolitana di Milano in persona, Antonella Ranaldia, che ha esercitato molte responsabilità. Eccone qualcuna.

 

1) I collaudi. E’ stato detto, da parte della sovrintendente Ranaldi, che dopo l’inaugurazione dell’11 aprile 2018 Palazzo Citterio poteva già aprire e “adesso aspettano di ridurlo a un fantasma”. In realtà i collaudi sono stati ultimati il 12 marzo 2019. Si poteva forse aprire al pubblico un edificio non ancora collaudato?

 

2) Tempi lunghi. Come mai è trascorso così tanto tempo per i collaudi dopo un anno dalla inaugurazione? Problemi?

 

3) Le infiltrazioni. Nel maggio 2018 (a “inaugurazione” avvenuta) sono state rilevate infiltrazioni umide nei depositi destinati alle opere e nella sala Stirling (il grande salone “cuore” del futuro museo). La Sovrintendenza dichiarò che erano risolte a settembre 2018. Risulta invece che la consegna del palazzo era stata rinviata e i lavori ripresi in carico a settembre 2018 proprio a causa delle infiltrazioni, problema risolto soltanto a febbraio 2019 (è uno dei principali motivi per cui la Pinacoteca non ha potuto prendere possesso di Palazzo Citterio). Se questi sono i fatti, si poteva davvero aprire il museo prima?

 

4) Il software per la temperatura umida. Risulta ancora che, sempre a maggio 2018, non era stato predisposto un software per registrare temperatura e umidità nei depositi delle opere, così come ne esistono in tutti i musei del mondo. E’ stato installato soltanto a ottobre 2018. Le preziose opere d’arte potevano essere davvero trasportate nella nuova sede da aprile 2018, dopo la famosa “inaugurazione”?

 

5) I valori instabili. Secondo quanto affermato dalla direzione della Pinacoteca, risulta che i valori di temperatura e umidità siano ancora instabili incompatibili con la conservazione delle opere. Come mai? Nel caso di problemi, l’impianto attuale è in grado di mantenere le condizioni climatiche? 

 

6) Il montacarichi. Molta polemica è stata fatta attorno alla mancanza di un montacarichi adeguato. Da quello predisposto non passano le opere di grande formato. Come mai, pur avendo a disposizione, i responsabili dei lavori, un elenco delle opere con le misure, è stato progettato per Palazzo Citterio un montacarichi di 2 metri e 70 che impedisce l’ingresso di più di 30 opere di Brera? Eppure, è stato realizzato ex novo in un edificio sventrato.

 

7) Lavori al ribasso. Intervenendo sul Corriere della Sera (sempre la rubrica di lettere di Schiavi) il presidente degli Amici di Brera, associazione storica e benemerita che supporta (anche con importanti finanziamenti) la Pinacoteca, ha affermato che “le considerazioni di Bradburne sulle pessime soluzioni adottate e decise dalla Sovrintendenza per Palazzo Citterio sono in perfetta coerenza con le nostre denunce”. E ha stigmatizzato: “L’assegnazione dei lavori con circa il 40 per cento di ribasso”. Questo ha avuto effetti negativi sulla realizzazione dei lavori?

 

8) Errori progettuali. Bassetti scrive di “errori progettuali, per non parlare della modestia di finiture e serramenti e di una soluzione per quel che rimane del giardino paesaggistico di assoluta incongruenza; soluzione purtroppo attuata senza coinvolgere il destinatario dell’immobile”. Critiche analoghe erano state sollevate, all’epoca dell’inaugurazione virtuale del 2018, da esperti come Philippe Daverio. Perché queste osservazioni non sono mai state prese in considerazione?

 

9) Il progetto. Le responsabilità, in una gestione così lunga e contraddittoria, sono stratificate. La sovrintendente Ranaldi, ovviamente, è arrivata dopo molti fatti già accaduti. Ma sarebbe interessante sapere se è davvero convinta che il progetto realizzato risponde davvero alle esigenze di un museo, cosa che implica altre necessità rispetto al solo restauro conservativo. Questo Palazzo Citterio, secondo lei, risponde davvero alla visione di Russoli?

 

Varrebbe la pena avere risposte che esulino, per una volta, dai battibecchi a mezzo stampa. Risposte in grado di uscire da una ufficialità autocelebrativa che continua a riproporre una “narrazione” di Palazzo Citterio che purtroppo per Milano, non corrisponde ai fatti. Del tipo di quella, per intenderci, che si trova scorrendo un volume come “Palazzo Citterio verso la Grande Brera”, presentato con gran pompa alla Triennale nel maggio 2018, e in cui a narrare l’epopea sono in sostanza gli stessi suoi protagonisti. Così, almeno per non dare ai milanesi l’impressione che esista un collaudato sistema di relazioni più interessato a difendere le proprie scelte che a dare a Milano il Brera Modern che si merita.

Di più su questi argomenti:
  • Maurizio Crippa
  • "Maurizio Crippa, vicedirettore, è nato a Milano un 27 febbraio di rondini e primavera. Era il 1961. E’ cresciuto a Monza, la sua Heimat, ma da più di vent’anni è un orgoglioso milanese metropolitano. Ha fatto il liceo classico e si è laureato in Storia del cinema, il suo primo amore. Poi ci sono gli amori di una vita: l’Inter, la montagna, Jannacci e Neil Young. Lavora nella redazione di Milano e si occupa un po’ di tutto: di politica, quando può di cultura, quando vuole di chiesa. E’ felice di avere due grandi Papi, Francesco e Benedetto. Non ha scritto libri (“perché scrivere brutti libri nuovi quando ci sono ancora tanti libri vecchi belli da leggere?”, gli ha insegnato Sandro Fusina). Insegue da tempo il sogno di saper usare i social media, ma poi grazie a Dio si ravvede.

    E’ responsabile della pagina settimanale del Foglio GranMilano, scrive ogni giorno Contro Mastro Ciliegia sulla prima pagina. Ha una moglie, Emilia, e due figli, Giovanni e Francesco, che non sono più bambini"