Com'è facile far vedere l'avversario un po' ubriaco
Milioni di americani si sono bevuti il video contraffatto di Nancy Pelosi. Viviamo in un mondo di nuovo incantato e farlocco, che avvilisce, ma almeno ha un vantaggio
Deepfake vuol dire che con l’aiuto dell’intelligenza artificiale stupida puoi manipolare anche un video, ma in modo sottile, senza esagerare, giusto per suggerire che la persona avversa è un po’ ubriaca, balbetta, si mangia le parole. E’ successo a Nancy Pelosi, al culmine di uno scambio di cortesie per gli ospiti con il presidente Trump, il “genio stabile” secondo l’autodefinizione, il bambino narcisistico e temperamentale secondo i suoi oppositori. Nancy ha parlato normalmente esprimendo suoi concetti con ordinaria, funzionale capacità oratoria nel corso di una conferenza pubblica, di cui è testimone una fedele registrazione. YouTube e Facebook recavano invece un video sapientemente contraffatto in cui “crazy Nancy”, stando alla definizione che ne dà l’Arancione, verbalmente strascicava di parola in parola, ondeggiava, e sembrava appunto un po’ crazy, una che aveva alzato il gomito. Milioni di americani l’hanno vista così, e figuriamoci le risate. Rudy Giuliani, avvocato di Trump, si è domandato con compunzione: “Che succede a Nancy?”, ma dice che non sapeva del video contraffatto, poverino. E il presidente molto presidenziale, trattandosi del capo dell’opposizione democratica, l’ha sbeffeggiata sardonico.
Ecco, le cose stanno così.
Non tutti leggono l’Economist, il Foglio o il Monde o il New York Times. Non tutti possono avere il tempo di fare fact-checking o addirittura video-checking, capire se Juncker ha messo due scarpe di colore diverso o no, se ha la sciatica o ha bevuto (domani sapremo quanto e come hanno bevuto gli elettori europei, in cambio). Moltissimi tirano via, è normale, vedono senza troppo guardare, si fidano o accettano che gli si chieda di fidarsi, il tempo è quello che è, limitato, l’attenzione dispersa dei social richiede una certa sbrigativa cursorietà, sono nervous states quelli che prevalgono, il digitale non implica la padronanza della grammatica dell’informazione o della sua sintassi, e allora viviamo in un mondo nuovamente incantato e farlocco, in cui una signora astemia te la rendono lievemente ubriaca con una piccolissima impresa di delinquenza digital, nemmeno la più grave, forse, ma diciamo suggestiva. Ma delinquenza è una parola sbagliata, e comunque nemmeno i democratici sono esenti da questa “viziosa tendenza”, ecco la definizione giusta della goliardata cliccarola, anche loro si sono prodotti in deepfake nel recente passato, per esempio nella campagna contro il candidato repubblicano tradizionalista Roy Moore.
Il fatto di non poter più essere sicuri di alcunché ti imprigiona, ti lascia esterrefatto, ti avvilisce, ma a ben pensarci ti libera, ti spinge di nuovo verso l’idea di un libero pensiero indipendente dalle informazioni. Ti invita al romanzo, al cinema, al verso, al dipinto, alla scultura, alla musica, alla carta stampata, al quotidiano, che può sì rifilarti i falsi diari di Hitler, ma in un quadro che ammette anzi esige verifiche della filologia e della storiografia, e tu sei comunque padrone di riflettere, ti devi prendere il tempo che è quello che è ma in questo caso è il tempo giusto per guardare, per leggere, per esaminare, non per vedere e via. Poi ti domandano per strada, a te che hai subito nel tuo piccolo l’onta dell’informazione bugiarda, del fake in cui compari a dire delle cretinate, ma non per satira, per informazione, perché non vai più in tv.
Scrittori del novecento