Il quadro censurato alla Galleria Saatchi

A Londra si mette il burqa ai dipinti

Giulio Meotti

Per i musulmani erano “blasfemi”. Succede alla galleria Saatchi ma è successo tante altre volte

Roma. Una delle migliori gallerie d’arte inglesi è stata costretta a coprire due dipinti, dopo le lamentele dei musulmani secondo cui erano “blasfemi”. Esibite alla galleria Saatchi da un artista noto come SKU, le opere sovrapponevano scrittura araba a immagini nude e sono state pensate per rappresentare il conflitto tra l’occidente e gli estremisti islamici. L’inclusione della dichiarazione di fede islamica, nota come shahada, ha suscitato numerose lamentele da parte dei visitatori musulmani, che hanno chiesto che i dipinti venissero rimossi dalla mostra della galleria Rainbow Scene. Alla fine, per evitare che fossero portati via, i quadri sono stati coperti con un telo.

   

Usama Hasan del think tank Quilliam aveva paragonato i dipinti ai “Versetti satanici”, il celebre romanzo valso la condanna a morte dell’Iran al suo autore, Salman Rushdie. Già, Rushdie. In quel 1989 di cui si sono da poco ricordati i trent’anni dalla fatwa, l’ultima apparizione pubblica dello scrittore fu a un servizio funebre per Bruce Chatwin. Poi arrivò la fatwa di morte da Teheran. La casa di Rushdie a Londra fu chiusa, le finestre sprangate e un poliziotto piazzato all’ingresso. Rushdie divenne invisibile. Da allora, non abbiamo fatto molti progressi. Il caso della Saatchi non è unico. Quando la Tate di Londra si autocensurò ritirando “God Is Great” di John Latham ( mostrava una copia del Corano), il critico d’arte Richard Cork accusò l’establishment di aver svenduto la libertà d’espressione: “Quando si inizia a pensare in questo modo, il cielo è il solo limite”. Quel limite è stato superato da tempo. Sempre a Londra, il “Tamerlano” di Cristopher Marlowe è stato censurato al Barbican nella versione di David Farr. E i versi dove Tamerlano dice che Maometto “non merita d’essere venerato” ma di “stare all’inferno” (come nell’Inferno di Dante), sono spariti. La Whitechapel Art Gallery sempre a Londra ha “epurato” l’esposizione dedicata all’artista surrealista Hans Bellmer, eliminando una decina di disegni, perché i contenuti erotici avrebbero potuto turbare la popolazione musulmana. Richard Bean è stato costretto a censurarsi al Royal Court Theatre di Londra per un adattamento di “Lisistrata”, la commedia di Aristofane in cui le donne greche fanno lo sciopero del sesso per fermare gli uomini che volevano andare in guerra. Nella versione di Bean, le vergini islamiche scioperano per fermare gli attentatori suicidi. E in un’altra galleria londinese, la Mall, è stata censurata l’opera “L’Isis minaccia Sylvania” della siriana Mimsy, che mostrava un massacro di topolini da parte di terroristi vestiti di nero.

    

Il compianto drammaturgo Simon Gray disse che Nicholas Hytner, il direttore del National Theatre, avrebbe potuto mettere in scena un’opera satirica sul cristianesimo, mai una sull’islam. Gli ultimi sono stati i giornalisti di Charlie Hebdo. E come ha detto Michel Houellebecq al Figaro sei mesi dopo la strage del 7 gennaio 2015: “Nessuno crede più che le cose possano aggiustarsi e, peggio ancora, nessuno più se lo augura”. Adesso mettiamo il burqa alle opere che i fondamentalisti musulmani considerano “blasfeme”. Abbiamo fatto dei progressi.

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  • Giulio Meotti
  • Giulio Meotti è giornalista de «Il Foglio» dal 2003. È autore di numerosi libri, fra cui Non smetteremo di danzare. Le storie mai raccontate dei martiri di Israele (Premio Capalbio); Hanno ucciso Charlie Hebdo; La fine dell’Europa (Premio Capri); Israele. L’ultimo Stato europeo; Il suicidio della cultura occidentale; La tomba di Dio; Notre Dame brucia; L’Ultimo Papa d’Occidente? e L’Europa senza ebrei.