L'amore romantico, il maschio tossico e Balzac che smaschera le donne-vittime

Simonetta Sciandivasci

“Honorine”, ovvero le carezze che sfiniscono

“Ho detto ai medici: fatemi morire di una malattia plausibile, altrimenti mio marito mi verrà dietro. E dunque ci siamo accordati, i dottori Desplein, Bianchon e io, che muoio di un rammollimento di non so quale osso”. Chi di noi non lo ha pensato: questo/a qua mi seguirà pure nella tomba, sarà meglio falsificare un certificato di morte e trasferirmi per sempre nella steppa mongola, oppure a Crotone.

 

La morte non è abbastanza per recidere un amore non corrisposto o un matrimonio fallito, Fosca lo sa ed è per questo che – in “Viaggi di Nozze” – dice a suo marito che preferisce venire seppellita non di fianco a lui, ma “da sola, sotto Galeazzo”. Morire non serve a niente soprattutto se il non corrisposto, insomma l’abbandonato, è un uomo ricco, buono, gentile, colto, educato come il conte Octave. Tuttavia, è per scappare da questo partito pazzesco che Honorine, sua moglie, decide di morire per il rammollimento di un osso, in accordo con i suoi dottori, e lo scrive al suo unico amico, che come tutto quello che ha (la casa, il lavoro, lo scialle di seta) non le è capitato in sorte, ma le è stato assegnato da lui, il conte romantico, sensibile, nobile, alto, raro, unico, liberale, perfino bello. Siamo in un racconto di Honoré de Balzac, che si chiama Honorine e che Sellerio ha appena ripubblicato con un’appendice di Pierluigi Pellini che s’intitola: “Il rovescio oppressivo dell’amore romantico”. Quel rovescio è uno dei punti (moltissimi, come sempre in Balzac, che aveva un talento assoluto nel ribaltare le cose, lasciarle a pancia e vergogne all’aria, così che chi leggeva potesse riderne e disperarsene). Era il 1842 quando Honorine venne scritto (in tre giorni) e pubblicato, e se anche qualche rivendicazione protofemminista c’era già stata, ai lettori contemporanei non poteva risultare chiaro come a noi che lo leggiamo adesso che, nella commedia umana del rifiuto, ai maschi spettava la parte peggiore, la più meschina e dolorosa, la più vile e indignitosa, che fossero brave persone o no. Ma, naturalmente (ed evviva l’Ottocento per questo), Balzac non tanto aveva a cuore la questione di genere, quanto quella umana, e quello di cui voleva parlare era questo: il modo in cui le carezze possano sfinire, la gentilezza annientare, l’amore non attecchire, la bontà imprigionare, la solidarietà uccidere.

 

C’è una maniera di raddrizzarlo, l’amore? A quante iniezioni di bene e amicizia e disinteresse dobbiamo sottoporlo? Qual è la formula dell’equilibrio? Serve davvero lasciare liberi quelli che amiamo, per amarli e garantire la reciprocità? Non c’è risposta a niente, però c’è un’evidenza: nessuno può appagare nessuno. Mai. Non è il consenso la chiave dell’equilibrio relazionale, anche se è molto rassicurante pensarlo. “Con me sarai felice”, dice Octave a Honorine, che è ancora una bambina, quando le domanda di sposarlo e lei, naturalmente, acconsente. Perché non dovrebbe: è tutto perfetto, tutto giusto, lui è così disponibile a insegnarle come va il mondo e lei non aveva mica a disposizione “Basta che funzioni” di Woody Allen (“Questo è il problema! Era tutto razionale e aveva un senso! Sulla carta siamo una coppia ideale ma la vita non si vive sulla carta!”). Poco dopo, Honorine s’innamora di un altro, naturalmente uno stronzo, scappa via, resta incinta, lui l’abbandona, e lei sprofonderebbe nella miseria se non fosse che il buon Octave (che santo, che eroe!), dall’altra parte di Parigi, la ritrova, la osserva (da lontano), capisce la situazione e le costruisce intorno una vita di agi di cui lei è del tutto inconsapevole. Con la complicità di una signora, le trova un lavoro, le paga buona parte dell’affitto, buona parte della spesa, buona parte di tutto e fa in modo che lei non lo sappia mai, che tutti le diano dei prezzi falsati: alla differenza bada lui. La cosa dura per anni, anni in cui lui si consuma, finché il suo nuovo segretario gli diventa amico, gli domanda quale sia la causa dei suoi tormenti, scopre tutta la storia e viene anche lui assoldato nella disperata impresa di riconquistare Honorine assicurandole una vita agevole e promettendogliene, al momento giusto, una ancora più agevole, accanto all’uomo che, in silenzio, per anni, le ha fatto da angelo custode. Come classifichiamo questa premura, amore romantico, stalking, prigionia, scacco matto, furbizia, patriarcato inconsapevole, tirannia? Quando il segretario di Octave conquista la confidenza di Honorine, e le racconta tutta la verità, scopre le sue ragioni: non intende tornare a far da moglie a un marito che ha tradito, perché non lo ama, perché sarebbe sopraffatta dalla vergogna, perché ama ancora lo stronzo, perché niente è più ripugnante di chi pur di averci con sé tenta di fare il nostro bene. Il finale non lo sveliamo, tanto non vince nessuno, ma dell’amore si capisce una cosa fondamentale: romantico o no che sia, si regge sulla ineliminabile disparità per cui, a un certo punto, presto o tardi, gli ex amanti trascorrono la vita uno nella speranza e l’altro nell’angoscia della ricongiunzione. Capita agli Octave, i buoni che fanno del bene per assicurarsi una compagnia, e capita alle Honorine, le ingenue per sempre che si fanno far del bene fingendo di non saperlo e goderne i benefici senza alzare un dito. C’est la vie.

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