Lo scrittore americano, Bret Easton Ellis (Foto LaPresse)

Bret Easton Ellis contro il pensiero di gruppo che deprime la cultura

Giulio Meotti

Lo scrittore americano torna dopo nove anni con un libro contro quel "conformismo che ci trasforma in robot virtuosi"

Roma. Due giorni dopo l’ultima notte degli Oscar, Bret Easton Ellis faticava a credere a quello che si diceva sulla vittoria del film Green Book. Il film non sarebbe altro che l’ennesima celebrazione retrograda dell’uomo bianco salvatore. “Il commento è molto più stupido di quanto mi aspettassi, il film viene usato come una specie di simbolo per qualcosa che non è, ma che sta accadendo nella cultura”.

 

Bret Easton Ellis, non certo uomo di destra o conservatore, è sempre stato un maestro di cattiva pubblicità. E dopo cinque romanzi, una raccolta di storie, una serie di podcast e di liti sui media, Ellis ha ancora molto da dire. Il 16 aprile pubblicherà il suo primo libro in nove anni. Sarà il suo esordio nella saggistica. E “White” non piacerà a tutti. Anzi, non sta già piacendo. “Bret Easton Ellis’ Book ‘White’ and Why You Don’t Need to Read It”, scrive l’Observer. Ma all’autore di “American Psycho” (che Irvine Welsh ha definito “l’esegesi letteraria più indispensabile e feroce della società che abbiamo creato”) non importa. “Sono un po’ perplesso dal suo disconoscimento delle élite costiere liberal, dal momento che è chiaramente sotto molti aspetti un membro iscritto”, ha detto di Ellis lo scrittore e suo amico, Jay McInerney.

 

“White” è un saggio su come il groupthink sta uccidendo la cultura americana, ma non solo. “L’unico obiettivo è fare soldi” scrive Ellis. “E questo ci spinge ad adottare il noioso conformismo della cultura aziendale e ci costringe a reagire in modo difensivo verniciando i nostri sé imperfetti in modo che possiamo vendere e vendere. La nuova economia dipende dal fatto che ognuno mantenga un atteggiamento reverenzialmente conservatore ed eminentemente pratico: tieni la bocca chiusa e la gonna lunga, non avere opinioni sfacciate se non quelle del gruppo di maggioranza”. 

 

All’inizio, il titolo del libro di Bret Easton Ellis doveva essere “White Privileged Male”, visto che l’analisi dello stato di “uomo bianco privilegiato” ricorre spesso tra le pagine. Ma rimpiangendo i tempi in cui Twitter era un posto libero proprio perché vi si poteva dire di tutto, Ellis ha pensato che il titolo fosse una presa in giro. Così ha ripiegato sul più semplice “White”.

 

Per salire la scala economica, scrive Ellis, oggi serve “una reputazione brillantemente ottimista con una finta superficie impeccabile. È un miasma da falso narcisismo, così che quelli di noi che rivelano difetti e incoerenze o esprimono idee impopolari diventano improvvisamente terrificanti per coloro che sono coinvolti in un mondo di conformismo corporativo e censura che rifiuta il contrarian”. L’altra parola che ricorre in “White”, oltre a groupthink, è inclusivity: “E’ una inclusività universale, tranne per coloro che osano fare domande”. Il #MeToo? “Doveva ripulire un mondo putrido, ma il crescendo di offese è sfociato in una rabbia generalizzata nei confronti della categoria ‘uomini bianchi sopra i cinquanta’ che devono essere purgati perché Hillary Clinton ha perso le elezioni, o almeno è questo che sembra”.

 

“La sicurezza dell’opinione di massa”

  

“Le piattaforme dei social media impongono “conformismo e censura calpestando la passione e mettendo a tacere l’individuo”. Ellis parla di una “orribile fioritura della relazionabilità, l’inclusione di tutti nella stessa mentalità… l’ideologia che propone a tutti di essere sulla stessa pagina, la pagina migliore”. È la “presunta sicurezza dell’opinione di massa. E se rifiuti di unirti al coro di approvazione sarai etichettato come un razzista o un misogino. Questo è quello che succede a una cultura quando non si preoccupa più dell’arte”.

 

Quali regole vigono per avere successo? “Farsi piacere tutto ed essere falsamente positivi per adattarsi alla banda. Tutti continuano a postare recensioni positive nella speranza di ottenere lo stesso risultato. Piuttosto che abbracciare la natura veramente contraddittoria degli esseri umani, con tutti i nostri pregiudizi e imperfezioni, continuiamo a trasformarci in robot virtuosi”. E contro la relazionabilità, Bret Easton Ellis dice di avere una sola regola: “Se fai lo scrittore ci deve sempre essere qualcuno che ti odia”.

Di più su questi argomenti:
  • Giulio Meotti
  • Giulio Meotti è giornalista de «Il Foglio» dal 2003. È autore di numerosi libri, fra cui Non smetteremo di danzare. Le storie mai raccontate dei martiri di Israele (Premio Capalbio); Hanno ucciso Charlie Hebdo; La fine dell’Europa (Premio Capri); Israele. L’ultimo Stato europeo; Il suicidio della cultura occidentale; La tomba di Dio; Notre Dame brucia; L’Ultimo Papa d’Occidente? e L’Europa senza ebrei.