Tomaso Montanari (foto Imagoeconomica)

Il giacobino furioso Montanari che condanna il reato di curiositas

Giuliano Ferrara

Lo storico dell'arte a vocazione giustiziere contro il mite giacobino Luzzatto, curioso dell’umanità di “Max Fox”

C’era una volta uno storico genovese, di affiliazione torinese, che faceva il “mite giacobino”, per dirla con il compianto Alessandro Galante Garrone. Il Cav. aveva sporcato l’Italia, bisognava ripulirla di sé stessa, l’Italia incivile, alle vongole, che si era lasciata sporcare prima dai partiti, poi da Berlusconi e domani chissà da chi. Si chiamava Sergio Luzzatto, studioso molto attrezzato, profeta civile parecchio confuso, giacobino senz’altro, mite non so. Poi arrivò Tomaso Montanari, uno storico dell’arte e del barocco, anche lui una spada fiammeggiante che vuole tagliare la testa ai barbari, compreso il Partito democratico “generatore di questa barbarie” che aggiorna la pestilenziale Italietta berlusconiana.

 

 

 

Montanari è un politico sfortunato, una punta ridicolo in argomenti e vicissitudini e velleità, ma il suo moralismo non è stato inutile in almeno una occasione: nella primavera del 2012 denuncia sul Fatto la spoliazione in atto della venerabile e antica biblioteca dei Girolamini, a Napoli, da parte del suo direttore amico del bibliofilo Dell’Utri e nominato dal governo, e a seguito della sua lodevole denuncia indagini arresti processi condanne e scandalo internazionale fermano il saccheggio, troppo tardi per salvare del tutto la biblioteca dispersa nei mercati un po’ loschi e ricettatori del libro antico. Succede che a un certo punto il Luzzatto decide di raccontare la storia del mostro dei Girolamini, Marino Massimo De Caro, e invece di limitarsi ai rapporti di polizia, alle carte dei magistrati, insomma a un’inchiesta noiosa e purificatrice, incontra il mostro ai domiciliari, poi conversa con lui via Skype per lunghe ore, s’informa a destra e a manca sulla sua incredibile parabola di malato di libri, falsario al top del successo mondiale, allievo carabiniere modello, mecenate in qualche occasione e ladro in varie biblioteche, figlio di famiglia comunista, faccendiere nei giri oligarchici ex sovietici (energia) in relazione al sistema di potere dalemiano in Puglia, e spoliatore sommo, infine, dei beni culturali, e molte altre cose: e la scrive, questa dannatissima biografia (“Max Fox”, Einaudi).

 

 

 

Allora Montanari si risente di brutto e ieri sul Fatto castiga questo libro “detestabile” di uno storico che si mette a fare il letterato e, sulla scia di Carrère o di Cercas, prende un mostro, un impostore, un eroe del tempo merdoso dell’Italia, e se ne innamora raccontandolo oltre i limiti della decenza, pretendendo (eppure Luzzatto prometteva bene all’origine!) di fare il ritratto di un uomo e di un’epoca invece che approfondire un casellario giudiziale e inchiodare ancora ancora ancora un tizio che sta in galera o ai domiciliari da sette anni, e ci starà per parecchio tempo.

 

A noi l’idea che uno storico giacobino si interessi all’umanità controversa, patologica, morbosa e dannata di un uomo è sembrato un segno di grazia, quella grazia laica che non assolve il peccatore ma scava nella sua coscienza, e più sotto ancora, per capire, vecchia storia, la relazione tra delitto, castigo, impostura e contrizione. A Montanari, guardiano occhiuto di limiti giudiziari da non superare, e spirito fanatico fino al più spietato narcisismo della denuncia, tutto questo sembrò operazione manipolatoria, indegna. Luzzatto non ha riabilitato il mostro, si è limitato a ritrarlo con decenza etica ma senza integrismo bacchettone. Montanari non glielo perdona, perché vuole prendere per sé la triste staffetta del giacobino. Una volta il cattivo maestro di tutti questi qua, Galante Garrone, commentò lo sciopero della fame in carcere del magistrato corrotto Renato Squillante dicendo che lui quella protesta non se la doveva permettere, non era un corpo, era una toga, una funzione. Scandalizzato (a ciascuno il suo, di moralismo) osservai tra lo strepito dei perbenisti che era lo stesso ragionamento delle Brigate rosse quando dicevano di sparare alla toga, alla funzione, e non alla persona: “Signor giudice noi spariamo alla toga, il fatto che dentro ci sia lei non ci riguarda”. Ecco: per un Luzzatto che deroga alla regola aurea del giacobinismo, un Montanari, son semblable, son frère, rileva la missione fanatica abbandonata una tantum dal predecessore e lo censura per la sua “vana curiositas”. Vana curiositas, quell’accusa che i medievali più scuri rivolgevano a chi metteva le mani nella pasta del mondo allontanando l’uomo dalla ricerca di Dio. Dio va bene, se ne può discutere anche tra umanisti, ma ora c’è il pm.

  • Giuliano Ferrara Fondatore
  • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.