Un affresco romano a Pompei

L'eccezionale critica d'arte di John Berger, che scrive per se stesso

Alfonso Berardinelli

I suoi “Ritratti” sono la più appassionante guida alla pittura occidentale mai letta prima d’ora

È impossibile, è ingiusto parlare in poche battute di un libro meraviglioso che non abbiamo letto interamente, un libro di varie centinaia di pagine che è in sé un mondo che contiene molti altri mondi, a loro volta inesauribili. È impossibile e ingiusto, ma è quello che sto per fare. Si tratta di John Berger, Ritratti (il Saggiatore, 654 pp., 45 euro), a cura di Tom Overton, edizione italiana a cura di Maria Nadotti, la nostra maggiore esperta di Berger, scrittore fuori da ogni genere e convenzione, tanto polimorfo e versatile quanto immancabilmente fedele a se stesso: un autore guidato sempre da una rara e ammirevole naturalezza che scriva storie, saggi, diari o dipinga e disegni. Scrittore non qualificabile, non catalogabile, Berger può essere definito un geniale giornalista che scrive sempre per se stesso e perciò riesce a essere intimo e prossimo al lettore come pochissimi altri.

   

Questa volta, leggiamo un Berger ritrattista di pittori, dagli autori di al Fayyum a Bellini e Mantegna, Bosch e Bruegel, Michelangelo e Raffaello, Tiziano e Caravaggio, Velázquez e Rembrandt, Vermeer e Goya, Turner, Courbet, Cézanne e Van Gogh, fino a una quarantina di novecenteschi, parecchi dei quali a me ignoti. Scrive Maria Nadotti che percorrendo il libro “nell’ordine che via via sceglieranno, lettrici e lettori avranno la sensazione di trovarsi insieme all’autore di fronte alle opere di cui scrive, di seguirlo in un viaggio durato oltre sessant’anni e di cui queste pagine sono diventate l’involontario giornale di bordo”.

   

Berger critico d’arte? Sarebbe più preciso dire che Berger è uno scrittore che scrive al cospetto di opere d’arte in meravigliata e tenace attenzione di fronte a quanto gli dicono quelle superfici dipinte. Esistono gli studiosi di storia dell’arte. Ma che cos’è davvero un critico (un critico d’arte, un critico letterario o musicale) se non un individuo che cerca di capire e di pensare la verità, la realtà, se stesso e la vita nel contatto, nell’esperienza diretta, personale e circostanziata, del guardare, ascoltare, leggere? La critica di Berger è sempre diaristica e autobiografica, perché gli interrogativi che si pone (come funziona questo quadro? Che uomo lo ha dipinto?) sono quelli che gli permettono di “realizzare” percettivamente e intellettualmente la presenza di un’opera nel momento altrettanto presente in cui la guarda. L’emozione mentale di chi legge questo libro è l’emozione di vivere la storia del processo interpretativo che accompagna l’esperienza del guardare. Lo stile di Berger ha quel tanto di narratività necessaria a chi pratichi l’arte saggistica del ritratto, sorella dell’arte pittorica del ritratto. Come il pittore non inventa ma interpreta la figura umana che ha davanti, così il saggista non inventa ma interpreta e racconta l’autore e l’opera di cui scrive. E’ questo a fare del libro di Berger la più appassionante guida alla pittura occidentale che mi sia capitato di leggere.

   

Molte le pagine e le idee indimenticabili (e molte altre ne incontrerò ripercorrendo il libro secondo curiosità e itinerari diversi). Le pagine per esempio in cui si spiega come la luce del giorno che si espande nello spazio portò Bellini “a collegare l’uomo alla natura come non era mai successo prima”. Come Mantegna sia ossessionato dalla gravità dei corpi e dal loro giacere. Come nel caos infernale di Bosch sia profetizzata “l’immagine del mondo che ci viene comunicata oggi dai media sotto l’impatto della globalizzazione”. Come le tele di Bruegel il Vecchio abbiano “maggior attinenza con la guerra moderna e i campi di concentramento di quasi tutti i dipinti realizzati da allora”. Come in Michelangelo desiderio carnale e Creazione sembrino scaturire dal sesso maschile che occupa il centro dei corpi. Come Raffaello dipinga figure concepibili solo in un mondo privo di dinamismo politico ma anche di divenire temporale: figure intangibili e illese che nessuna forza estranea potrà mai decomporre. Come la vera luce di Caravaggio sia il buio, l’ombra delle taverne, degli interni e dei vicoli della malavita, dove si può sempre, da un momento all’altro, essere sorpresi da un “ispettore di polizia entrato per arrestarti”. Come Goya sia stato un “commentatore di fatti” poco interessato agli stati d’animo e la cui “maniera di comporre era essenzialmente teatrale”… E come teatrale, infine, sia anche la tecnica di Francis Bacon, che secondo Berger “è un brillante direttore di scena anziché un artista originale perché nel suo lavoro non c’è traccia di scoperte visive, ma solo un allestimento immaginoso e sapiente”.

  

Che si sia o meno d’accordo con lui, Berger risulta essere un eccezionale critico d’arte perché ha l’immaginazione e il modo di esprimersi di uno scrittore che racconta i suoi autori non meno che se stesso.

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