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I 90 di TinTin e i processi politici applicati al fumetto

Davide Bartoccini

Forse, per il suo reporter di carta, Hergé si ispirò al collega Degrelle, fondatore del Rexismo, movimento fascista belga. Ma nonostante le ombre, ciò che tutti continuano ad apprezzare dell’avventuriero di china è l’intrepido coraggio

Il ciuffo ribelle color carota, l’inseparabile compagno a quattro zampe Milou, e decine di avvincenti avventure da affrontare. TinTin, il coraggioso reporter di carta e china belga che ha appassionato milioni di lettori della nona arte ha compiuto 90 anni.

 

Era il gennaio del 1929 quando sulle pagine del Petit Vingtième – il supplemento per i piccoli del quotidiano cattolico Vingtième Siècle – comparve per la prima volta un personaggio dai tratti dolci, l’immancabile trench alla Bogart, l’abilità di maneggiare la penna come la pistola, il sapere correre in motocicletta e la temerarietà dei migliori giornalisti investigativi. Il giovane TinTin, questo il suo nome, era destinato a rimanere per sempre nel cuore del Belgio; ma non tutti sapevano che il suo autore, Hergé, molto probabilmente si ispirava in segreto al carisma del collega Léon Degrelle, fondatore del Rexismo, movimento di estrema destra ultracattolico ispirato in parte al Nazionalsocialismo tedesco. Nelle prime due tavole del fumetto che avrebbe più di tutti ispirato la corrente della cosiddetta “ligne claire” francese, il protagonista veniva inviato nella Russia che era divenuta terra dei soviet proprio per indagare su cosa fosse accaduto dopo la rivoluzione che aveva rovesciato lo Zar e consacrato l’impero più grande del mondo a patria del Comunismo.

   

Il successo fu immediato. Gli albi contenenti le avventure di TinTin portarono la tiratura della piccola rivista a numeri mai immaginati prima (10.000 copie), destinando la saga a occupare per sempre un posto di rilievo nella storia del fumetto in Occidente, dove le raccolte delle 24 avventure di TinTin continuano ed essere apprezzate e ristampate. Solo due anni fa sono state 300mila le copie ridisegnate e vendute di ‘Tintin au pays des Soviets’.

    

Dai viaggi lungo tutti i continenti della terra alla conquista della Luna sul razzo a scacchi rossi che avrete certamente notato al terminal dell’aeroporto di Bruxelles. Mentre i suoi giovani lettori vivevano la seconda guerra mondiale, la ricostruzione e il piano Marshall, la Guerra Fredda, la decolonizzazione e la corsa allo Spazio, TinTin viaggiava nella loro fantasia, affacciandosi sul mondo a lui contemporaneo – tanto da essere tacciato di razzismo e diffusamente criticato per il suo viaggio in Congo del 1931 (il secondo episodio della serie), negli anni a venire.

    

Che TinTin fosse Degrelle, o che Degrelle volesse essere TinTin, è un fatto ancora da appurare. Poiché Hergé non confessò mai di essersi davvero ispirato al suo vecchio collega, profondamente cattolico come il suo direttore, l’abate Wallez, viaggiatore, antisovietico e collaborazionista che poi sarebbe divenuto capo dei “Rex” (come lui stesso era) e in fine colonnello della divisione vallona delle Waffen-SS. Hitler, che provava profonda stima per quel combattente romantico un giorno gli confessò “Se avessi un figlio lo vorrei come lei...”. Degrelle, decorato durante la campagna di Russia, condannato a morte in Francia e morto in esilio nella Spagna franchista che gli concesse l’asilo politico, finirà per scrivere duecento pagine in un albo dal titolo “Tintin, mon copain”. Nel primo capitolo, il reporter dal naso a punta e la fronte spaziosa, proprio come la sua, va a fare visita al Fürher, con indosso gli immancabili pantaloni da “golfista” che solo Degrelle, nella redazione del Vingtième Siècle, era solito indossare.

 

TinTin, l’eroe prototipo dell’avventuriero borghese che affascinava grandi e piccoli, il rampollo prediletto da una classe conservatrice cattolica e di destra, il perfetto “junker” vallone: retto, coraggioso e cavalleresco, si macchiava così – all’insaputa di tutti – di crimini come antisemitismo, razzismo e autoritarismo. Intanto il sogno al quale era votata la vita del personaggio vero, Degrelle, si faceva largo in tutto il Belgio, tingendosi, forse, della china di TinTin. Ma come distinguere dunque l’aspirazione dall’ispirazione?

    

Hergé è morto nel 1983, affermando che “TinTin moriva con lui”. Degrelle è morto nel 1994, portando ancora al collo la croce di ferro insignitagli dal Reich per il valore dimostrato nel combattere l’Armata Rossa, non rinnegando nulla (condotta opinabile) della sua vita passata e sognando, o credendo, di essere stato davvero lui l’avventuriero delle tavole a fumetti che hanno fatto la fortuna della BD.

  

Nonostante questa tetra ombra abbia aleggiato per oltre mezzo secolo sulla vera origine del personaggio di TinTin, le avventure del giovane reporter sono ancora fortemente apprezzate da migliaia di appassionati del fumetti; forse a dimostrazione che i processi politici applicati ai disegni di china lasciano il tempo che trovano. Dopo 90 anni infatti, ciò che tutti continuano ad apprezzare di TinTin e Milou è semplicemente l’intrepido coraggio.

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