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Così è stato sdoganato il complottismo

Emanuele Calò

Perché certe teorie così poco credibili ma difficili da confutare hanno preso piede

Dispiace che, con ogni probabilità, sia sfuggito ai più lo sdoganamento del complottismo, dovuto all’irruzione del combinato disposto dei nuovi leader. Non interessa analizzarne le intenzioni, potrebbero essere anche le migliori del mondo, interessa analizzarne le conseguenze. Una di queste riguarda l’irruzione del complottismo, corredato da atteggiamenti autoritari, anche nei ceti baciati, non da ora, da una meritata prosperità.

 

Ora come ora, a tanti italiani non pare vero che si rinvenga nei poteri forti la causa dei nostri mali, perché così hanno finalmente trovato la più autorevole delle conferme ai loro sospetti: non è la nostra atavica cialtronaggine ad aver rovinato il Paese, ma sono stati dei poteri esterni ad aggredirci. Questa attribuzione di colpe manca non solo del nesso causale ma finanche dell’identificazione del colpevole (i villani sarebbero le banche, la Merkel, la massoneria e così via, con allusioni sempre meno velate agli ebrei, che possono sempre essere fatti passare per sionisti). Infatti, l’espressione “poteri forti” non significa niente e anche la demonizzazione del sistema bancario è così generica da smarrirne ogni significato.

 

Il complottista non è un improvvisato, a dispetto della cattiva stampa che lo precede. Se vi è una crisi finanziaria – ed è forse il caso più grave che possa accadere in una società occidentale opulenta – la ragione non risiede nell’errore bensì in una sinistra cospirazione che sfugge ai più, ma non al complottista, una mente eccelsa che mai e poi mai potrà essere oggetto di raggiri.

 

Poiché una buona parte dei mali è provocata da un’errata percezione della realtà che, in buona sostanza, equivale sovente all’idiozia (basta pensare ai junk bond), attribuendo le sciagure non a scemenza ma a un complotto, il cospirazionista, in palese conflitto d’interessi, salva sé stesso. Eliminando l’errore dal panorama, il complottista elide l’ignoranza che lo insegue come un’ombra, sostituendola con le trame oscure che solo lui conosce. Così, nel percepire ciò che gli altri non percepiscono, inverte la realtà e da sciocco incorreggibile diventa intelligente.

 

Il complottista, pertanto, non è un tapino qualsivoglia, ma un soggetto che, se non ha proprio trovato un intimo riscatto, riesce a darsi un tono e finanche a persuadere gli altri. Osservate come, quando costui punta il dito su finanza, banche e massoneria, anche i professori più ferrati traballino. Alzi la mano chi riesce a dimostrare che Emmanuel Macron e Angela Merkel non sono governati da burattinai; è un poco come tentare di spiegare, a ritroso nel tempo che una vecchia tremante e sdentata non è una strega.

Il complottista è un uomo in buona fede e, di questi tempi, appare anche baciato dalla fortuna. Se è di destra, usa un linguaggio insinuante per non dire subito la parola “ebrei”; se è di sinistra, ha una sua demonologia in costante aggiornamento. Se contro di loro non si può far nulla o quasi, c’è però qualcosa che si può e si deve evitare, ed è di qualificarli come pittoreschi, sottovalutandoli o deridendoli; sarebbe un grave peccato di superbia che, più presto che tardi, si finirebbe giustamente per scontare. La sostituzione della cultura e del ragionamento con l’ipotesi complottistica ha attecchito nel mondo di chi, impegnandosi nel lavoro, non ha avuto il tempo, e forse anche l’intenzione, di apprendere altro che quanto serve strettamente alla propria professione. La ben nota ignoranza degli italiani, ritratta nella scarsa propensione alla lettura, spesso abbinata ad una quasi atavica tendenza al fanatismo ideologico, ha prodotto questo nuovo fenomeno: il complottismo di massa, quale surrogato dell’intelligenza.

Contrariamente alla diffusa vulgata, infatti, per lavorare, anche ad alti livelli, non serve l’intelligenza, perché il lavoro è ripetitivo e non è irragionevole farsi bastare l’esperienza. Nel film “The Founder”, una lezione registrata insegna che per avere successo non serve il talento ma la costanza e, a guardarne bene la trama, anche la fortuna gioca un suo ruolo. Se qui stigmatizziamo la scarsa intelligenza, per via dei danni che sta provocando, ci renderemmo anche noi parte del problema se ironizzassimo su questi mostriciattoli sociali, per quanto si prestino allo sberleffo, perché ci stanno trascinando sempre più vicino all’orlo dell’abisso, e non serve, neanche ora, puntare il dito contro i politici, vecchi e nuovi, perché equivarrebbe a deresponsabilizzare per ennesima volta gli italiani. Se il populismo consiste nella visione di un popolo virtuoso angheriato dal potere, evitiamo di ricaderne anche noi. Il rimedio sarebbe di tirare loro un libro in testa ma, per farlo, servirebbe una buona riforma legislativa che lo consentisse.

Emanuele Calò

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