L'orrore della generazione complotto
Economia, migranti, Europa. Oltre il caso Lannutti. Il populismo ha trasformato il cospirazionismo in una leva utile a contestare verità ufficiali. L’antisemitismo non è la molla ma la conseguenza di una democrazia dei creduloni in fuga dalla realtà
Quando un governo mette insieme l’autorevolezza di Lino Banfi, la dottrina di Diego Fusaro, la serietà di Giulietto Chiesa, la cultura di Alessandro Di Battista, la profondità di Mario Borghezio, le scie chimiche di Carlo Sibilia, il risultato non può che essere simile alla spazzatura diffusa ogni giorno sui social dall’onorevole grillino Elio Lannutti. Ieri Lannutti è finito al centro del dibattito politico per via di un articolo antisemita condiviso sul suo profilo twitter relativo alla storia di Mayer Amschel Rothschild, “l’abile fondatore – così si legge nell’articolo condiviso da Lannutti – della famosa dinastia che ancora oggi controlla il sistema bancario internazionale che portò alla creazione di un manifesto: i Protocolli dei Savi di Sion”. Ma al di là delle fesserie antisemite diffuse da Lannutti, ciò che dovrebbe colpire, ancora prima del contenuto dell’articolo, è l’algoritmo politico che ha portato uno dei dieci nomi che nel 2015 vennero candidati dal M5s alla presidenza della Repubblica a condividere l’articolo antisemita. Quell’algoritmo coincide con una parola diventata da tempo una caratteristica chiave del Dna populista: il complotto.
Per un partito populista, avere tra le proprie file un professionista del complotto non è una bizzarra anomalia, ma è la naturale evoluzione di un percorso che ha trasformato il cospirazionismo in una leva utile a mettere in discussione le verità ufficiali. E per quanto possa sembrare paradossale, per un partito populista trovare dei modi per essere cospirazionisti è importante quando si sta all’opposizione, ma lo è ancora di più quando si sta al governo e ci si sente lo stesso in dovere di dimostrare che in giro per il mondo c’è sempre qualcun altro che comanda davvero e contro cui vale la pena combattere. Vale quando si gioca con i poteri forti, e con le menzogne sui complotti demo-pluto-giudaico-massonici, ma vale anche quando si gioca con tutto il resto.
C’è sempre un complotto quando si parla di immigrazione, e un giorno è colpa delle ong e un altro giorno è colpa del franco francese. C’è sempre un complotto quando si parla di spread, e un giorno è colpa dei burocrati europei e un altro giorno è colpa degli amici di Soros. C’è sempre un complotto quando si parla di previsioni economiche, e un giorno la colpa delle stime negative è colpa di qualche tecnico amico del Pd e un altro giorno la colpa è di qualche altro amico di Soros. C’è sempre un complotto quando una legge viene scritta con la stessa attenzione dedicata da Matteo Salvini alla cura del suo colesterolo, e un giorno un errore in una legge è colpa di una lobby e un altro giorno è colpa dei poteri forti. C’è sempre un complotto, poi, quando un sindaco è incapace di governare – a Roma da mesi è in corso una rivolta dei frigoriferi. Quando c’è da spiegare un conflitto – l’attuale sottosegretario di stato alla Farnesina, Manlio Di Stefano, ha sostenuto per una vita che l’Isis sia finanziato dagli Stati Uniti. Quando c’è da bloccare un grande evento – le Olimpiadi piacciono ai poteri forti perché ai poteri forti piace la corruzione. Quando c’è da bocciare una riforma della Costituzione – dietro c’è sempre J. P. Morgan. E un complotto torna sempre utile quando c’è da parlare di un vaccino da bocciare, quando c’è da parlare di un gasdotto da evitare, quando c’è da parlare di una sentenza non gradita, quando c’è da parlare d’Europa – memorabile qualche mese fa un’intervista all’ex presidente dell’Eurogruppo, Jeroen Dijsselbloem, tradotta dal Movimento 5 stelle con una serie di concetti taroccati e mai espressi da Dijsselbloem come il presunto “golpe finanziario contro l’Italia” per mano dell’establishment europeo ordito “contro il popolo”.
In un bellissimo articolo pubblicato qualche mese fa sul Foglio, lo scrittore Vanni Santoni ha ricordato che per la generazione anticasta il complottismo è diventato il modo più logico sia per spiegare come va il mondo sia per ribellarsi al flusso di informazioni ordinario a colpi di fake news (il sottosegretario all’editoria Vito Crimi teorizza da tempo che le fake news sono la spia non di un problema ma di una sana “libertà di espressione”). Gérald Bronner, sociologo dell’Università Paris-Diderot, autore del libro “La democrazia dei creduloni” sostiene da tempo che la nuova sfida della nostra società sia costruire una democrazia della conoscenza contro la democrazia dei creduloni. La portata di questa sfida dovrebbe essere compresa anche da quella classe dirigente che non dovrebbe coltivare la conoscenza a colpi di fake news su Soros. Naturalmente il tentativo di alimentare una democrazia dei creduloni non è un’invenzione dei populisti, ma ciò di cui i sovranisti contemporanei non si rendono conto è che una volta acceso il ventilatore dell’estremismo complottista il fango che si sparge non è più controllabile. Il populista antisistema usa spesso la chiave del complotto per fuggire dalla realtà, ma quando lo fa tende a sottostimare quali sono le conseguenze che possono innescarsi dalla legittimazione dell’algoritmo del complotto. Nel migliore dei casi la fuga è dalla realtà. Nel peggiore dei casi la fuga è dalla ragione. E l’antisemitismo in questa storia, nella storia dei nuovi populismi, non è la molla ma è la tragica conseguenza di una democrazia governata a misura di creduloni.