La nostra cronaca politica somiglia sempre di più a Tex

Matteo Marchesini

Il ranger è un giustiziere da ronda ma anche un capo navajo. Ristabilisce l'ordine e sotto sotto è un po' gialloverde

Avevo dimenticato che nel 2018 compie settant’anni Tex Willer. Me ne sono ricordato per una di quelle coincidenze che Praz chiama “voce dietro la scena”: proprio mentre nel bar cinese sotto casa, dopo ere di oblio, sfogliavo un albo del ranger alle prese con Proteus redivivo, mio padre mi ha telefonato avvisandomi che si sarebbe sbarazzato della sua collezione. Sono centinaia i numeri ammucchiati nella cantina dei miei. Da bambino, col fiatone del calcio addosso, mi allungavo fino all’asse imbarcata su cui le pile sfregavano il soffitto, e ne afferravo due o tre da portarmi in vasca, senza sospettare che un decennio più tardi sarebbero diventati una specie di Xanax.

 

Leggevo gli esordi della “Mano rossa”, affrontata dal protagonista con rossa camicia e inquadrature a distanza, e a poco a poco tornavo verso quegli anni 80-90 nei quali nuove leve stavano rimpiazzando Galleppini e Letteri: Civitelli con geometrie da stilista, Villa con virtuosismi già istituzionali, Ticci con eroi dinoccolati dai larghi zigomi indiani, Fusco con un Tex energumeno tutto linee spezzate e dinamici pugni-vettori, e Ortiz con tavole di bambocciante incanaglito, piene di sputi, pulci, stracci zingareschi. Non mi bastava l’uscita del mese lasciata in bagno tra l’Unità e Cuore, nel buon odore di babbo e dopobarba. Perché Tex è un rito maschile: un fumetto dove le donne, per non creare intralci, muoiono di parto o si limitano a divertire i brutti ceffi dei saloon, tirandosi il lenzuolo sul nasino appena i ranger buttano questi ceffi fuori dal loro letto e gli fanno veder le stelle (“vecchio reprobo”, ripete Willer se Kit indugia sull’entraineuse). Il quadro è monotono: spari, canyon, crotali come dèi ex machina, il gioco del cappello, “coprimi mentre li aggiro”, “peste!”, “beccaccione”, “amigo”, un “cuidado” di rurales a fine pista. Sullo sfondo che scorre da Lincoln a Cody, Tex e Tiger si assestano presto sui loro eterni quarant’anni, Kit junior sui venti, Carson sui sessanta.

 

Manca l’umanità vulnerabile di Ken Parker: sai già che i beniamini la sfangheranno. Ma ad avvincere è il modo in cui questo quadro si contamina con scenari non western: la gioia di vedere Tiger nella Washington neoclassica, Carson che in un teatro dell’est trasecola davanti al teschio di Amleto, i pards storditi dalla Chinatown di Frisco o dalla magia messicana. Fiaba ripetuta e variazioni: così Tex rassicura e svaga. E tra le variazioni più saporite c’è la diversa maniera inventata da ogni disegnatore per animare lo schema fisso. In Letteri, ad esempio, colpisce un contrasto. Com’è possibile che a quel Willer smussato come un soldatino di piombo capitino cose così agghiaccianti? Tradimenti vertiginosi, stragi esoteriche si susseguono in una luce da fanale che ispessisce appena le palpebre: la “Locanda dei fantasmi”, tra la Christie e Ibsen, o appunto il “Proteus”, Fregoli omicida classicamente resuscitato dopo generazioni.

 

Forse altrettanto sinistro è solo il primo Texone giallo dell’88, dove la crassa comicità di Pat, mischiata all’orrore dei malvagi rimasti nel palazzo buio, dà esiti shakespeariani grazie al tratto snodato e fosco di Buzzelli. L’ultimo Galep invece sfrangia i volti con un intreccio incerto di curve: e la loro statica malinconia, quasi di spettri sul punto di sfumare, imprime una fatalità da tragedia alle rese dei conti sanguinarie, ai “pentiti” abbandonati alla loro sorte perché troppo vili. Una sera divorai la storia di una diligenza partita da Tucson e finita in mezzo a una rivolta apache. Costretti nel cubicolo come in “Boule de suif”, cacciatori di taglie, dame con veletta e notabili dalla coscienza sporca sprigionano i sentimenti primordiali di rivalità, codardia, paura: solo anni dopo scoprii di aver letto la versione bonelliana di “Ombre rosse”.

 

Tex, si sa, è un giustiziere da ronda ma anche un capo navajo. Non ha problemi di soldi, ristabilisce l’ordine e invoca “cravatte di canapa”, ma insieme sfida le industrie che minacciano i piccoli proprietari, i trafficanti d’armi e i militari che insidiano le riserve. Comunque, tutto andrebbe meglio senza gli “scaldasedie” del governo e le “scartoffie”: il ranger è un po’ gialloverde, perciò sembra più giovane della sua coetanea Costituzione. Da piccolo lo ritrovavo nelle teche dei barbieri; ma lì gli esclamativi dei balloon si confondevano con le discussioni urlate in negozio. Cose da maschi, di nuovo: i comunisti-leghisti d’Emilia che oggi si riuniscono nei bar cinesi. Discutono meno, chiudono i fumetti. Forse a casa li sostituiscono con le repliche di Chuck Norris; o forse direttamente con la cronaca politica, che a Tex somiglia molto più di trent’anni fa.

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