Mercurio Loi dimostra che c'è vita nel fumetto italiano

Gianmaria Tammaro

Le avventure di un professore che vive nella Roma governata dai papi. Il personaggio creato da Alessandro Bilotta più che uno Sherlock Holmes italiano, è un Batman d’altri tempi

Sorpresa: oltre ai graphic novel, c’è ancora vita nel fumetto italiano. E' da qualche mese, infatti, che la Sergio Bonelli Editore, la casa di “Tex” e di “Dylan Dog”, ha dato alle stampe “Mercurio Loi”, che non è il solito fumetto seriale, con un personaggio praticamente invincibile, una trama tutto sommato prevedibile, e varie disquisizioni, spesso eccessive, su intellettualismi all’ultimo grido. E', invece, un fumetto che prova coraggiosamente a fare qualcosa di più: ad appropriarsi di un genere – una via di mezzo tra la detective story più classica, à la Sherlock Holmes, e il superhero comic – e a trasformarlo in una cosa nuova.

 

Il protagonista, Mercurio Loi appunto, è un professore. Vive nella Roma governata dai papi. Ha un’idea di futuro e di innovazione ed è molto intelligente. Usa il cervello ma anche i muscoli (sempre, ovviamente, a modo suo). Ha un assistente, più di qualche confidente e diversi nemici. L’idea di “Mercurio Loi”, il fumetto, è di Alessandro Bilotta, autore italiano tra i più bravi, che ha avuto l’intuizione vincente di non fermarsi alla semplice e letterale riproposizione di una trama verticale (quella singola, d’ogni volume) e di una trama orizzontale (quella, invece, che unisce tutti i numeri); ma che ha deciso di andare oltre, fino a costruire un mondo tridimensionale, con una sua atmosfera, i suoi luoghi e una sua riconoscibilità stilistica. Alternativa, cosa fondamentale, a quella dei più classici fumetti Bonelli.

 

Altra trovata veramente intelligente: affidare le cover a un artista come Manuele Fior, capace di immortalare lo spirito, più che la fisionomia, dei personaggi della serie. Insomma, “Mercurio Loi”, a marzo in edicola con il numero dieci, “L’uomo orizzontale”, è un insieme di tante cose: è una buona storia, ha buoni disegni; è originale. Esplora un’ambientazione che in più campi – dalla letteratura al cinema, alla televisione – è stata lasciata spesso inesplorata, e aggiunge elementi fondamentali alla più canonica storia gialla.

 

Mercurio Loi ha più cose in comune con Batman – e con il suo genio e la sua inventiva – che con Sherlock Holmes. Volerlo associare a tutti i costi con l’investigatore creato da Conan Doyle è una semplificazione comunicativa che forse funziona di più e che evita il disappunto dei lettori più tradizionalisti; ma che fa pure perdere parte della sua profonda complicatezza a questa storia. Che viene resa indimenticabile dai singoli momenti, dalle ricostruzioni, da dialoghi intelligenti e non così banali come, invece, sono quelli di un altro tipo di fumetto, oramai stanco, appesantito dalle tantissime uscite e divenuto quasi statico nella sua evoluzione.

 

Loi non è piatto; non è uno stereotipo fatto di disegni e parole; è una figura complessa, interessante, appassionata. Diversa. Ed è un peccato, anche qui, che se ne parli poco. O almeno, che non se ne parli quanto, invece, si dovrebbe. Perché è una lettura innovativa del fumetto italiano, inteso come medium, e perché è la dimostrazione che un poliziesco nuovo è possibile. Un po’ thrillergiante e un po’ romanzo storico, “Mercurio Loi” è aria fresca per la produzione da edicola che di questi tempi, col boom della libreria, sta vivendo una fase di assestamento di cui è ancora incerto l’esito.

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