Performance Fluxus, tenuta in occasione dell'inaugurazione della mostra Museo sperimentale d'arte contemporanea: Torino, Galleria civica arte moderna, 26 aprile 1967

L'arte acida dello sberleffo

Ugo Nespolo

Maciunas, Cage, Yoko Ono e gli altri. Anni Sessanta e frammenti di banalità. Tutto questo era Fluxus

“L’arte è ciò che rende la vita più interessante dell’arte” (Robert Filliou)

  

Si può cominciare col dire – come si sente talvolta dire dai meglio informati – di Fluxus come di un gesto artistico di sovversione individuale, oppure, in una sorta di rovesciamento totale, dovuto al sorriso tagliente di Henry Flint, di un’arte dell’insignificanza, tutta gesti sciocchi dovuti specialmente a George Brecht e considerata da Leo Castelli una storia senza importanza come ricorda Gino Di Maggio. Equivalenza dei contrari, naturalmente, per definire l’indefinibile, quell’atteggiamento fluido – appunto – liquido e, sovente acido e penetrante tra le pieghe di una cultura da negare, da sovvertire da risvoltare, da insultare e – soprattutto – da banalizzare in uno sberleffo senza fine.

  

Si propone dall’inizio come produttore di oggetti e fatti minori, avvolti in una sorta di estetica della marginalità e degli scarti 

Lo stesso incipit non è – né può essere – così lineare, anche se è fuor di dubbio che tutto prenda il via da George Maciunas, geniale lituano-americano figlio di quell’Alexander Maciunas architetto e ingegnere di cultura berlinese e di Leokadija, già ballerina della Lithuanian National Opera e più tardi segretaria privata di Aleksandr Kerenskij, che dopo la rivoluzione di febbraio 1917 sarà membro del governo provvisorio come ministro della Giustizia e poi ministro della Guerra e infine presidente del potente Soviet di Pietrogrado, rovesciato col suo governo in ottobre dai Bolscevichi di Lenin.    

I Maciunas, per evitare l’arresto del padre a opera dell’Armata Rossa, emigrano negli Stati Uniti nel 1944 e George, dopo aver passato l’infanzia nei campi per rifugiati ed essere sopravvissuto ai bombardamenti di Berlino, può adesso iniziare i suoi studi d’arte, graphic design, architettura alla Cooper Union poi a Pittsburgh al Carnegie Institute of Technology e infine alla New York University. Invasato di storia dell’arte, mette in pratica tra il ‘55 e il ‘60 quella sua attitudine maniacale nel realizzare le History Charts, fogli lunghi un metro e ottanta per tre metri e sessanta dove tempo, spazio e categorizzazione di tutti gli stili passati, i movimenti artistici, scuole e artisti vengono elencati e ordinatamente inseriti. Un progetto che non vedrà mai la conclusione, soppiantato presto dall’indagine profonda della storia dei movimenti artistici europei di rottura.

  

Attitudine, dedizione, maniacalità non inutili davvero se possono dimostrare – come è dimostrabile – la profondità delle conoscenze dei movimenti delle storiche avanguardie europee e del dadaismo in particolare, non trascurabile serbatoio privilegiato del prelievo di molte delle attitudini Fluxus. I suoi contatti fin dai primi anni Sessanta son quelli nati nell’ambito della New School for Social Research: si tratta tra gli altri di Allan Kaprow, La Monte Young, Al Hansen.

  

Il funerale di George Maciunas, morto a 47 anni, celebrato in stile totalmente Fluxus. Tutti a mangiare cibi bianchi, neri o viola 

A leggere Henry Flint, filosofo e musicista d’avanguardia che parla della propria opera come di un nichilismo congiunto, Fluxus si propone e viene considerato dall’inizio come produttore di oggetti e fatti minori, avvolti in una sorta di estetica della marginalità e degli scarti, frammenti della stupidità e della banalità. Così in effetti venivano considerati opere, pensieri, eventi e personaggi Fluxus in rapporto agli artisti invece in quel tempo glorificati ed economicamente riveriti dall’art system.

Già nei primi anni Sessanta Maciunas volta le spalle alla cultura accademica, alla respectable culture e all’intrattenimento borghese per indirizzarsi verso ricerche fatte di unpretentiousness (Flint) attitudine che si sarebbe dovuta meglio accordare e dirigere verso una cultura democratica e di sinistra. Lavorare su interventi marginali è stata da subito una delle ragioni che ha fatto apparire il movimento un fatto di poco conto e di grande debolezza, lontano dall’interesse del dominante sistema dell’arte che vuole merci costose, da rendere ancora più costose e da trafficare.

Si deve dire che le origini culturali di Fluxus han radici nella vicinanza pratica e teorica di John Cage e alla enorme portata delle sue ricerche musicali che lo hanno reso a ragione vera icona dell’avanguardia del secondo dopoguerra. Le sue lezioni tra il 1957 e il ’59 alla New School for Social Research a New York furono seguite tra gli altri da molti personaggi approdati poi in ambito Fluxus, come La Monte Young, George Brecht, Al Hansen, Dick Higgins e lo stesso Maciunas.

 

Secondo Henry Flint esiste però un vero tentativo di manipolazione della storia di Fluxus che tende a lasciar credere come tutto sia dipeso quasi soltanto dalla presenza di La Monte Young e di John Cage per poter falsamente collocare quel gruppo internazionale e cosmopolita in un ambito da giudicare coda minore delle passate storiche avanguardie. Sono i contorni mobili e diffusi delle azioni e dei pensieri di personaggi multidisciplinari fatti di artisti, designer, architetti, musicisti, compositori, intenti tutti – sul filo della leggerezza e dell’ironia – a mescolare le carte, a confondere i perimetri assegnati alle discipline, a produrre oggetti e situazioni stranianti in un continuo rimbalzo di attitudini e gesti.

 

La figura enigmatica di Marcel Duchamp – si sa – aleggia alta, fatta tra l’altro della geniale idea di eleggere a opere d’arte il banale, il ready-made, il marginale, l’inconsueto per una tabula rasa che ha oltrepassato tempo e ideologie, e oggi ormai è da considerare comodo e scontato riferimento per innocue ripetizioni spuntate. Già nel 1960 Maciunas inaugura la sua AG Gallery in Madison Avenue a New York in collaborazione con Almus Salcius dove mette in scena una lunga serie di concerti con artisti come Dick Higgins, Yoko Ono, Jackson Mac Low, Ichiyanagi Toshi. Siamo alle origini di Fluxus, gli anni in cui Yoko Ono nel suo loft al 112 di Chambers Street ospita concerti di Henry Flint, La Monte Young, Joseph Byrd e Robert Morris. Nella primavera del 1963 George Brecht e Robert Watts danno vita allo Yam Festival ricco di eventi e performances di Cage, Kaprow, Ay-O, Dick Higgins e di molti altri.

 

Riscrittura dei ruoli di arte e artisti, volontà sfrenata di portar l’arte fuori dal grigio angolo del collezionismo dei salotti e dei musei 

E’ un rapido fiorire di attività eterogenee, ma tutte volte a svuotare il far arte dalle interessate estetizzazioni, dalle facili o presunte concettualizzazioni forzate. Riscrittura dei ruoli di arte e artisti, volontà sfrenata di portar l’arte fuori dal grigio angolo del collezionismo dei salotti e dei musei per proiettarla in frammenti inclassificabili e tentare di riportare la vita nel perimetro confuso dell’arte. Sono concerti, pubblicazioni, performance provocatorie dal momento che, come scriveva Maciunas, “se l’uomo potesse davvero sperimentare il mondo intorno a lui (dalle idee matematiche ai problemi della fisica) nello stesso modo in cui si può vivere l’esperienza dell’arte, non ci sarebbe nessuna necessità di arte e artisti e di simili improduttivi elementi”. Per questa ragione, come ricordava Ken Friedman, Fluxus è un’attiva filosofica dell’esperienza che talvolta prende la forma dell’arte mentre agisce come con una visione di approccio critico sia verso l’arte che la vita e verso i meccanismi delle sue ideologie.

La AG Gallery vive di vita breve e Maciunas nel 1961 accetta il lavoro di graphic designer alla base dell’aviazione americana a Wiesbaden, in Germania. Nel settembre del 1962 inaugura un grande Fluxfest fatto al solito di concerti, azioni, eventi di artisti internazionali e tra l’altro è da ricordare il gesto di Maciunas e di un gruppo di presenti alla messa in scena delle Piano Activities di Philip Corner, azione che termina con la plateale distruzione del pianoforte tra stupore e scandalo. Il festival viaggia poi a Colonia, Parigi, Düsseldorf, Amsterdam e Nizza. Maciunas, Higgins e Knowles, con la partecipazione anche di Wolf Vostell, Sylvano Bussotti, Giuseppe Chiari, danno il via alla diffusione internazionale di quel modo sghembo di progettare da qualcuno definito neo-dada e da altri considerato robetta réchauffée.

  

Dal coté politico, nel 1964 Maciunas ed Henry Flint mettono in scena due violente contestazioni, l’8 settembre 1964, in occasione di un concerto di Karlheinz Stockhausen, considerato un’imperialista culturale, che come ricorda Enrico Mascelloni: “… lascia perplessi numerosi compagni di strada. Ed è certamente per tale carattere fortemente conflittuale e non per un’intermedialità che condivide con molte altre esperienze dell’epoca che Fluxus ha l’onore di non essere nemmeno citato in un documento del 1963 a firma Leo Castelli in cui vengono passate in rivista pressoché tutte le tendenze dell’arte nuova”.

    

Ripercorrere sia pure molto sommariamente l’intricata vicenda di Fluxus non può prescindere dal considerare Maciunas il duttile ma solido pilastro che tutto conduce, indirizza e governa. Le sue attitudini non fanno che parafrasare quelle mostrate dai teorici e dai promotori indiscussi di movimenti d’avanguardia come Marinetti, Tzara, Breton ai quali si riconosce oltre alla genialità nel teorizzare anche la capacità del governare, indirizzare, giudicare e persino l’energia di scomunicare ed estromettere tutto quanto può essere considerato ambiguo e – in qualche modo – non ortodosso. Fluxus non fa eccezioni certo.

  

Higgins conierà il termine intermedia, quasi un rafforzamento delle potenzialità e attitudini di Fluxus, come luogo della mente in cui l’arte e la vita s’accoppiano per procreare al di là dei limiti, lontano dall’ideologia del prezzo e del valore, quello stesso veleno che oggi più che mai intossica la credibilità del far arte, la depriva di slancio, oppressa da ferree regole, controlli e suggerimenti interessati.

  

Nel 1963 Maciunas redige il primo FluxusManifesto dove tra l’altro scrive, mettendo in evidenza la sua visione estetico-politica: “… depurare il mondo dalla malattia borghese, intellettuale, dalla cultura professionale e commercializzata, promuovere un flusso ed una marea, promuovere una non art reality che possa essere afferrata da tutti, non solo dai critici, dilettanti e professionisti, fondere i quadri della cultura, del sociale con rivoluzionari politici in un fronte unito d’azione”.

  

Fluxus come luogo della mente in cui l’arte e la vita s’accoppiano per procreare al di là dei limiti, lontano dall’ideologia del prezzo e del valore

Per rendere possibile la diffusione e – in qualche modo – la democratizzazione di Fluxus, Maciunas e Brecht portano le loro azioni lontano dai luoghi deputati. Adesso sono case private, strade, spiagge, stazioni ferroviarie. Maciunas poi apre al 359 di Canal Street uno store battezzato Fluxhall e in strada tra l’11 aprile e il 23 maggio 1964 organizza ben dodici concerti. Da Canal Street prende il via un’intensa rete di distribuzione verso l’Europa, il Giappone, con negozi che aprono a Londra, Milano, Nizza. L’Idea era quella di fare di Fluxus una sorta di azienda multinazionale in un “… complesso amalgama di Prodotti Fluxus, del Fluxshop, con un Catalogo postale, la creazione di una protezione del copyright, un giornale collettivo, una Fluxus Housing Cooperative…”. Il tutto fu notoriamente un enorme insuccesso: Maciunas ricordava di non avere effettuato una sola vendita in un anno anche se gli oggetti (oggi molto ricercati) di George Brecht e di altri costavano da uno a venti dollari al massimo.  

Fin dalle contestazioni a Stockhausen e a Charlotte Moorman, Fluxus perse molti sostenitori. Jackson Mac Low lasciò il gruppo, contrario ai piani antisociali nel 1965, uno dei quali era quello di bloccare i camion sull’Hudson River Drive. Anche Brecht e Higgins, pur restando fedeli a Fluxus, lasciarono Maciunas.

Questa sorta d’insurrezione verso la leadership dette comunque il via attraverso il lavoro di Yoko Ono a una sorta di filone giapponese intorno al Hi-Red Center con artisti quali Mieko Shiomi, Ay-O, Shigeko Kubota. Nasce l’idea da parte di diversi artisti di organizzarsi in comunità. Così Brecht e Filliou ci provano a Villefranche-sur-Mer creando un centro di Creazione permanente con negozio per vendere i Fluxkits, creando anche una Non-School che suggeriva: “… uno scambio d’informazioni e di esperienze. Nessuno studente, nessun insegnante…”.

 

Maciunas e Watts avevano anche approfittato della nuova legge intesa a far risorgere l’abbandonata zona di Soho detta Hell’s Hundred Acres: per favorire l’acquisto da parte degli artisti, iniziarono (anche grazie alle competenze architettoniche di Maciunas stesso) un lavoro di sviluppo dell’area immaginando l’arrivo di una comunità di artisti legati a Fluxus. Cooperative e teatri, ristoranti per gli artisti e per gli abitanti intorno. Il primo loft building in Green Street fu occupato da artisti di discipline diverse come Robert Watts, Christo e Jeanne Claude, Jonas Mekas ed altri. Meka era l’altro grande lituano, fondatore della New York filmaker Coop, paladino del cinema sperimentale e della sua diffusione mondiale. Il sogno di Maciunas era anche di poter realizzare vicino ad Antigua una Fluxisland capace di ospitare una grande comunità di artisti, sogno naturalmente vano.

  

Ci si rende conto che tratteggiare in maniera tanto semplicistica e parziale le complesse vicende di Fluxus ne limita la portata e la comprensione, ci si sente però di poter affermare che la vicenda – salvo rigurgiti più o meno retroattivi e di gusto modesto, si conclude nel 1978 con la morte di George Maciunas a 47 anni. Naturalmente anche il suo funerale fu celebrato in stile totalmente Fluxus. Tutti a mangiare cibi bianchi, neri o viola.

  

“E’ facile scrivere composizioni Fluxus quando si conosce la regola del gioco: proporre di segare un pianoforte in due dopo avere ammesso con John Cage che appoggiarsi con i gomiti sul piano è musica.” Così propone Ben Vautier che ho frequentato a lungo negli anni Sessanta a Nizza e col quale si è dato vita al primo concerto Fluxus italiano il 26, 27, 28 aprile 1967, con la presenza di Gian Emilio Simonetti a Torino e con azioni nelle strade, concerti alla Galleria Il Punto di Remo Pastori e al Teatro Stabile di Torino sotto gli occhi vigili di Arturo Schwarz. E allora: ancora Ben nel dicembre 1966. “Come negli USA. Depositate un mattino alle 6 davanti a tutte le porte del vostro quartiere una bottiglia di latte e un giornale”. E’ Fluxus bellezza!!!

Di più su questi argomenti: