Un dipinto dell'Otello di Shakespeare

In Canada giornalisti cacciati per aver criticato il "crimine mentale"

Giulio Meotti

Nel mirino la battaglia contro l'ultima frontiera del politicamente corretto: “l'appropriazione culturale”, il dogma che impone agli scrittori bianchi di trattare con rispetto le minoranze etniche o sessuali nei loro romanzi

Roma. Oggi a William Shakespeare forse verrebbe proibito anche solo di immaginare l’Otello, a Mark Twain di costruire la figura di Jim e a Charles Dickens di lavorare a Fagin. Per questo Hal Niedzviecki, brillante romanziere canadese ma soprattutto direttore di Write, la pubblicazione ufficiale dell’Unione degli scrittori in Canada, aveva preso di mira la cosiddetta “appropriazione culturale”. Sembra una malattia venerea, ma è soltanto una delle frontiere del politicamente corretto in Nord America. In pratica indica il dogma che impone agli scrittori bianchi di trattare con rispetto e in guanti bianchi le minoranze etniche o sessuali nei loro romanzi. “Secondo me, chiunque, ovunque e sempre dovrebbe essere incoraggiato a immaginare altri popoli, altre culture, altre identità”, aveva scritto Niedzviecki. Come osare tanto? Uno scrittore che auspica il libero utilizzo dell’immaginazione. “Arrivo fino al punto di creare un premio, l’Appropriation Prize, da assegnare a un autore che parla di persone molto lontane da lui”. Risultato. Niedzviecki è stato dimesso a forza e l’Unione degli scrittori ha prontamente eliminato dal sito Internet dell’associazione il saggio del suo (ormai ex) direttore. Niedzviecki aveva spiegato che la letteratura nordamericana è essenzialmente scritta da bianchi su altri bianchi a causa di questo tabù, l’appropriazione culturale. Nei giorni precedenti, la Visions Gallery di Toronto aveva eliminato dalla programmazione un dipinto di Amanda PL, giovane e audace artista canadese. I suoi colori sgargianti erano troppo vicini alla tradizione eschimese. Appropriazione culturale. Al rogo il dipinto.

 

“L’articolo ha offeso e ferito i lettori, i collaboratori della rivista e i membri della redazione”, ha dichiarato l’Unione degli scrittori nel comunicare l’allontanamento di Niedzviecki. “Ci scusiamo inequivocabilmente”. Alicia Elliott, autrice indigena canadese che aveva pubblicato un saggio sullo stesso numero della rivista, aveva condannato il suo direttore per “tradimento”. Nikki Reimer, redattrice della rivista, si era dimessa in segno di protesta contro Niedzviecki. “Il Canada ha una lunga storia da colonizzatore e di appropriazione culturale e fisica”, ha scritto la Reimer. Ken Whyte, a lungo editore di successo in Canada e già direttore di Maclean’s, si è invece schierato con Niedzviecki: “Darò cinquecento dollari per questo premio se qualcuno lo vorrà organizzare”. Anche Anne Marie Owens, direttrice del National Post, si è schierata a favore di Niedzviecki e a difesa del free speech. Alcuni mesi fa, la scrittrice americana Lionel Shriver aveva aperto il discorso di inaugurazione del Brisbane Writers Festival, la principale kermesse letteraria australiana, con un attacco all’appropriazione culturale. Lionel Shriver si era vista censurare il discorso sul sito del festival, è stata bacchettata ufficialmente dagli organizzatori e ha visto numerosi scrittori presenti lasciare la platea. Ma il caso Niedzviecki miete un’altra vittima illustre. Si tratta di Jonathan Kay, che due giorni fa è stato costretto a dimettersi da direttore della rivista The Walrus per essersi schierato a difesa di Niedzviecki. “Qual è la priorità, il diritto degli artisti di estendere la loro immaginazione all’intera esperienza umana o il diritto di comunità storicamente emarginate a proteggersi da eventuali false dichiarazioni?”, aveva chiesto Kay sul quotidiano National Post, dove ha una rubrica. Al giornalista è costato il posto da direttore di The Walrus. Kay aveva criticato “l’idea di trasformare l’appropriazione culturale in una sorta di crimine mentale che richiede scherno e censura”. In meno di ventiquattro ore si sono appropriati di lui.

  • Giulio Meotti
  • Giulio Meotti è giornalista de «Il Foglio» dal 2003. È autore di numerosi libri, fra cui Non smetteremo di danzare. Le storie mai raccontate dei martiri di Israele (Premio Capalbio); Hanno ucciso Charlie Hebdo; La fine dell’Europa (Premio Capri); Israele. L’ultimo Stato europeo; Il suicidio della cultura occidentale; La tomba di Dio; Notre Dame brucia; L’Ultimo Papa d’Occidente? e L’Europa senza ebrei.