Illustrazione di Anna Sutor

Il Figlio

Non si può stare da soli nemmeno in bagno, ecco la semplice verità

Annalena Benini
Mi chiudo in bagno per non essere disturbata, e anche come gesto di esasperazione, ma la verità è che ho bisogno di essere disturbata, a volte spero di essere disturbata, ma voglio che tutti sappiano che mi stanno disturbando, e pensino quindi a quanto sono gentile, proprio una brava madre, perché mi lascio disturbare anche in bagno. 

A volte mi chiudo in bagno, mi siedo su un tappeto, uso quello che c’è come un tavolo, ci appoggio sopra il computer, i libri, i giornali, il telefono e chiudo la porta. Non a chiave perché ho paura delle porte chiuse a chiave, ho il terrore di non riuscire più ad aprire: la serratura si blocca, la chiave si spezza e io resto bloccata per sempre su un treno, in aereo, al cinema, nel bagno di un autogrill, chiusa là dentro mentre gli altri se ne vanno, ripartono, vivono, si dimenticano e nessuno viene a salvarmi. Voglio stare da sola, ma non troppo sola, voglio la libertà di tornare nel mondo senza dare spallate alla porta di un bagno. Infatti anche se penso spesso: adesso spengo il telefono così nessuno mi disturba, io il telefono non lo spengo mai, per nessun motivo, e anzi se per un po’ il telefono resta lì senza vita, non si illumina, non fa niente, mi innervosisco, mi preoccupo, lo guardo con sospetto, poi lo prendo in mano, lo scuoto, controllo se funziona, mando un messaggio di prova. Mi chiudo in bagno per non essere disturbata, e anche come gesto di esasperazione, ma la verità è che ho bisogno di essere disturbata, a volte spero di essere disturbata, ma voglio che tutti sappiano che mi stanno disturbando, e pensino quindi a quanto sono gentile, proprio una brava madre, perché mi lascio disturbare anche in bagno. 

 

Con i miei figli questa condizione viene rispettata sempre, perché la cosa che preferiscono nella vita, o almeno nella vita dentro casa, è stare in bagno insieme a me, con la porta chiusa. Quindi io vado in bagno carica di matite, fogli, computer, caricabatterie, con l’aria disperata di chi non può proprio rifugiarsi da nessun’altra parte, mi siedo su quel tappeto consumato, appoggio la schiena al muro, conto fino a tre, e di solito al due arriva qualcuno urlando: mamma devo dirti una cosa. E’ un bagno minuscolo, poco più grande di una scrivania, non c’è una sedia, non c’è nemmeno una vasca per sedersi sul bordo, ma è il posto in cui anche il gatto vuole stare appena intuisce la possibilità di una festa, e con la zampa cerca di aprire la porta scorrevole, spesso ci riesce, entra e si sdraia sul tappeto e io urlo: ma non posso stare da sola neanche in bagno?, e sono arrabbiata ma anche trionfante perché l’avevo previsto, perché la verità è questa ed è semplice: non posso stare da sola neanche in bagno.

 

Mia figlia ha l’interrogazione di geografia, quindi è un’emergenza e deve assolutamente entrare, anche lei carica di libri, quadernoni con gli anelli, il diario con gli avvisi da firmare e il suo astuccio preferito verde. Non posso lasciarla fuori non solo perché il mio destino è essere disturbata sempre, anche in bagno, ma perché l’insegnante ha detto che noi genitori delle medie dobbiamo ascoltare i bambini mentre ripetono la lezione, dobbiamo ascoltarli ogni giorno e non importa se non abbiamo tempo, o se non ne abbiamo nessuna voglia, che è la verità segreta che non possiamo pronunciare, perché se noi non li ascoltiamo e non li seguiamo, loro non colmeranno mai le lacune delle scuole elementari e tra qualche mese sarà già troppo tardi e loro saranno totalmente irrecuperabili e destinati a una vita di strada. L’insegnante non sempre dice: vita di strada, ma dice dolcemente e con gentilezza cose spaventose che significano senza dubbio: vita di strada. Così tutti torniamo a casa dai colloqui di inizio anno scolastico con gli occhi bassi e questo macigno sul cuore, e molta paura. Anche vergogna, perché molto più della minaccia di una vita di strada ci angoscia il dovere di ascoltare i nostri figli ogni giorno mentre ripetono a voce alta la storia dei ghiacciai e dei vulcani e dei Babilonesi.

 

Mia figlia quindi ripete a voce alta il vulcanesimo secondario in piedi davanti allo specchio del bagno, e vuole anche mostrarmi le mappe concettuali che ha fatto, e disegnarne altre lì per terra, e poi mi chiede quanto tempo manca a Natale, non quante settimane, proprio quanti minuti mancano al momento in cui aprirà i regali. Anche io voglio sapere quanti minuti mancano, quindi dimentico tutto quello che devo fare e mi metto a contare i minuti. Non con le dita ma peggio, con Google, lì seduta in bagno, ma fingendo di farlo a mente. A Natale mancano sessantatremila minuti circa, la interrompo mentre mi sta spiegando che cosa sono le solfatare, e allora lei si accascia sul tappeto perché sessantatremila è davvero un tempo lunghissimo, insopportabile, e il gatto si alza e se ne va con la coda dritta, forse indignato per tutti quei minuti.

 

Io però devo concentrarmi, ti prego adesso esci dal bagno, ne parliamo dopo, ma ecco che qualcun altro bussa alla porta e non è il gatto, che non bussa ma apre direttamente con la zampa, è il bambino più piccolo, che ha bisogno del bagno. Ma va’ in quell’altro, non vedi che qui stiamo lavorando?, gli urla la sorella, ma lui in quell’altro ha paura perché si sente solo e comunque deve solo lavarsi le mani che sono macchiate di biro: e allora va bene resta, io mi sposto un po’. Ogni volta che siamo in quel bagno, tutti insieme, mio figlio ha delle domande importanti da fare. Cose serie che può chiedere soltanto in quel bagno. Come è nato il sole, quando si muore, il futuro sta in alto oppure in basso? Io vado in confusione e dico che non posso rispondere perché sto lavorando, penso che il sole sia nato da un’esplosione, mi ricordo solo una parola, “supernova”, è meglio se lo chiedi a tuo padre, che però quando va in bagno si chiude a chiave quindi nessuno lo disturba mai.

 

Questa volta invece Giulio ha detto: mamma, mi sento strano se penso che sono tuo figlio, io sono una cosa tua, però sono un essere vivente. Amore tu non sei proprio mio, ho risposto alzandomi in piedi e andando a sbattere contro il lavandino e calpestando il libro di geografia: sei mio figlio ma sei tuo, io ti voglio tanto bene e tu sei libero. Ma lui mi ha detto che non devo preoccuparmi: a me piace essere tuo, mi piace che stiamo qui dentro senza la chiave, posso andare a prendere la Nutella e mi faccio un panino e lo mangio qui con te? Ho pensato velocemente: la Nutella fa male, tra poco è ora di cena, in bagno non si mangia, io sono venuta qui per stare sola. La risposta quindi è: sì. 

Di più su questi argomenti:
  • Annalena Benini
  • Annalena Benini, nata a Ferrara nel 1975, vive a Roma. Giornalista e scrittrice, è al Foglio dal 2001 e scrive di cultura, persone, storie. Dirige Review, la rivista mensile del Foglio. La rubrica di libri Lettere rubate esce ogni sabato, l’inserto Il Figlio esce ogni venerdì ed è anche un podcast. Ha scritto e condotto il programma tivù “Romanzo italiano” per Rai3. Il suo ultimo libro è “I racconti delle donne”. E’ sposata e ha due figli.