Daisy Miller, il libro per l'estate da mercoledì in regalo nel Foglio

Mariarosa Mancuso
Quinto appuntamento con il libro dell’estate: dopo “Serenata” di James Cain, “La valigia” di Sergej Dovlatov, “Il popolo dell’abisso” di Jack London e “Badenheim 1939” di Aharon Appelfeld, da oggi a venerdì il Foglio propone ai suo lettori “Daisy Miller”, racconto lungo  di Henry James.

Quinto appuntamento con il libro dell’estate: dopo “Serenata” di James Cain, “La valigia” di Sergej Dovlatov, “Il popolo dell’abisso” di Jack London e “Badenheim 1939” di Aharon Appelfeld, da oggi a venerdì il Foglio propone ai suo lettori “Daisy Miller”, racconto lungo  di Henry James uscito per la prima volta su una rivista americana nel 1878. Il testo, tradotto da Barbara Antonucci, è quello dell’edizione Bur di Rcs.

 


 

"Drammatizza, drammatizza!" suggerì una vocina a Henry James. Era il 1877, si trovava a Roma, una conoscente gli appena raccontato un pettegolezzo. Su una giovane americana che girava accompagnata da un giovanotto locale “di bell’aspetto e vaga identità”, facendo chiacchierare i compatrioti che soggiornavano attorno al Tevere. La vocina si era espressa con un segno a matita, ricorda lo scrittore nella prefazione al racconto. Obbedì, e dal gossip romano-americano nacque “Daisy Miller”.
Per lo scrittore americano che volle farsi europeo lo spunto era ghiotto. Da una parte la schiettezza di una fanciulla che osa passeggiare senza chaperon (ci sarebbero una madre e un fratellino, ma anche loro avanzano in un turbine di pettegolezzi, l’una per via di un accompagnatore trattato con troppa familiarità, l’altro per la maleducazione da teppista). Dall’altra un bellimbusto fascinoso per mestiere, che appoggiato a un albero nei giardini del Pincio sfacciatamente “guarda le signore nelle carrozze”. Cappello, monocolo, mazzolino di fiori al bavero della giacca, ottimo inglese già messo in pratica con una sfilza di ricche americane.

 

Un “Ritratto di signora” in miniatura. Mancano un paio d’anni al romanzo con Isabel Archer che eredita un sacco di soldi, rifiuta due pretendenti, finisce nelle grinfie del sinistro Osmond – complici i palazzi antichi, Firenze, Roma, le raffinatezze corruttrici di anime semplici. (Ancora non perdoniamo Jane Campion per aver trasformato quel grazioso intreccio di velleità e ingenuità in un’eroina femminista, nel film con Nicole Kidman). Conosce i pericoli perfino Rudolph, il fratellino pestifero di Daisy: “Ieri mi è caduto un altro dente. Ma io non posso farci niente, è la vecchia Europa”.

 

Maestro nell’arte del punto di vista – “Quel che sapeva Maisie” racconta un divorzio tra genitori e un affidamento congiunto come appare agli occhi della bimba Maisie – Henry James drammatizza il pettegolezzo inserendo un terzo incomodo. Winterbourne, altro giovanotto americano, conosce Daisy a Vevey: “Una graziosa civettuola americana con il più bel nasino che avesse mai visto, e un abito con centinaia di balze”. La ragazza nasce a Schenectady e passa gli inverni a New York, collezionando inviti a cena. “Diciassette lo scorso inverno, tre da parte di gentiluomini”. Anche il mondanissimo Henry James, quando si trasferì a Londra e poi nel Sussex, contava gli inviti a cena ricevuti (a centinaia in un anno, lo riferiscono due colleghi curiosi come lo spagnolo Javier Marías e l’irlandese Colm Tóibín). Ma ai maschi la decadente Europa non fa male, alle ragazze sì.

 

La civettuola americana va tenuta ben distinta dalla civettuola europea. La seconda categoria in genere ha un marito, questione di rispettabilità: “Donne terribili e pericolose con le quali una relazione frivola può prendere una terribile piega seria”. Daisy Miller no. Vuole andare al castello di Chillon, ed esige che Winterbourne l’accompagni, stordendolo con un mare di chiacchiere: “Si assicurava di avere un pretesto per tutto ciò che intendeva dire, e ne trovò molti”. Parte per Roma, arrabbiandosi con l’americano perché non fa i bagagli all’istante per seguirla. In vista del Colosseo, stringe amicizia con il baffuto e impresentabile Giovanelli.
Henry James rimase male, quando “Daisy Miller” non diventò il bestseller che sperava. Fu invece un longseller, e comunque il più grande successo nella carriera dello scrittore, che a posteriori commenta così un’edizione pirata a Boston: “Un dolce tributo che mai più riceverò”.  

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