Il Figlio

Silicone a merenda

Paola Tavella
Ho sempre pensato che i ragazzi avrebbero ricavato le ulteriori informazioni di cui avevano bisogno dai disegni sulle pareti dei bagni dei maschi alle medie, poi è stato inventato YouPorn. Guardavano YouPorn sul mio Mac mentre uscivo, così innocenti da non cancellare la cronologia.

Ho avuto solo maschi e mi illudevo che l’educazione sessuale toccasse ai padri. Invece hanno rivolto a me qualunque domanda, pure su questioni teoriche e politiche: “Mamma, si può essere due mariti oppure due mogli?”. Ho risposto: “Certo”, mentre distribuivo barchette di mela a merenda. Per le faccende tecniche, all’occorrenza, gli insegnanti delle nostre scuole di sinistra e libertarie entravano nei dettagli. Ma dare per scontato che i bambini avrebbero creduto alle risposte degli adulti è stato un grave errore. Avendo ricevuto spiegazioni all’asilo e alle elementari sui semi maschili che fecondano le uova femminili, mio figlio maggiore ci ha posto quesiti a raffica: “Come sono questi semi? Tipo quelli della mela? Come fa il pisello a entrare nella pisella? Diventa molto sottile? Posso vedere la prossima volta che voi due piantate i semi?”. All’asilo progressista, intanto, il suo fratellino capeggiava una rivolta antiscientifica, aveva scoperto che bambini li porta la cicogna e noi avevamo sempre mentito. Può essere molto sbagliato diradare con la razionalità il mistero del sesso, la psiche cerca subito di ripristinarlo e goderselo.

 

Quel bambino lì, infatti, ha avuto subito una fidanzata, figlia di psicoanalisti. Mentre scrivevo loro giocavano al dottore, ma ogni tanto scoppiavano delle liti. Il pomo della discordia era che mio figlio voleva che lei fosse malata sempre sulla pancia, lei preferiva ammalarsi dappertutto (un classico). “Fate una volta per uno” ho suggerito. La mia pedagogia si fonda sulla ferrea distibuzione di frutta a fettine verso metà pomeriggio, e parlare di sesso il meno possibile. E’ verità rivelata che la frutta vada mangiata fuori pasto e la madre invadente faccia il figlio impotente. Non ho mai cambiato canale tv, messo mani davanti agli occhi, fatto commenti, dato spiegazioni se in un film c’erano scene di sesso. Immobile e soave, respiravo lungo, lento e profondo. Per questo, forse, il figlio maggiore, in una sala cinematografica molto affollata, durante una scena di sesso breve ma intensa, ha dovuto urlare: “Mamma, questa è una scopata?”. La gentile spettatrice della fila dietro di noi ha risposto: “Esatto”.

 

Ho sempre pensato che i ragazzi avrebbero ricavato le ulteriori informazioni di cui avevano bisogno dai disegni sulle pareti dei bagni dei maschi alle medie, poi è stato inventato YouPorn. Guardavano YouPorn sul mio Mac mentre uscivo, così innocenti da non cancellare la cronologia. Erano fissati con un video noiosissimo, Pamela Anderson scopava in motoscafo con un tizio dal pisello smisurato. Alla prima occasione dunque, di punto in bianco, senza preavviso, ho fatto il mio dovere: “Le tette di Pamela Anderson sono finte, piene di silicone. Nessuna donna normale resta con le tette immobili mentre fa sesso, soprattutto in motoscafo. Nessuna strilla subito, ci vuole tempo e pazienza. L’amante di Pamela ha un pisello abnorme e per questo fa l’attore porno, ma è dimostrato che nella realtà le donne preferiscono dimensioni medie. Il sesso è molto diverso dal porno, proprio come la nascita e la morte sono molto diverse da come vengono mostrate nei film. La fiction è divertente perché non è vera”. I ragazzi hanno fatto domande rapide e nervose solo sulle misure maschili. Ho pensato che tutto il resto glielo avrebbe insegnato la vita.

 

Appostata nell’ombra, aspettavo però che almeno uno di loro avesse il coraggio di dire davanti a me “troia” o “puttana”, fantasticando una nobile, ferma reazione femminista. Nessuno dei due furbastri ci è cascato. Il grande, a un certo punto, ha definito la sua più esuberante compagna “una che la dà a tutti”. Ho colto la mia unica occasione di infilare in quella testolina di rapa il massimo rispetto per le femmine sfrenate, parlando come mi sarebbe piaciuto avessero parlato le madri dei maschi negli anni lontani in cui le mie amiche e io pagavamo caro l’entusiasmo per il sesso: “Sei così sfortunato che preferisci le ragazze difficili a quelle facili? Le ragazze che la danno a tutti la danno pure a te. Sono le più simpatiche, ci vai a letto, hai confidenza, fate un sacco di risate. Le ragazze facili aspettano il momento in cui le bacerai con la stessa impazienza con cui tu aspetti di baciarle e come te sono agitate, incerte, pasticcione. Sono le tue migliori amiche, parlarne male è da stupidi e autolesionisti. Il sesso è molto bello e nessuno, maschio o femmina, va disprezzato perché ne vuole tanto e con persone diverse”.

 

Il figlio mi ha guardato come una pazza pericolosa e un po’ meravigliosa perché, intanto, affettavo barchette di mela e, data l’intima agitazione per la solennità del momento, me le infilavo in bocca una dopo l’altra. Neanche un mese dopo, era domenica mattina, facevo colazione in santa pace, poi si è aperta la porta della cucina e il karma si è presentato nei panni di una quindicenne sconosciuta e ossigenata, in maglietta e mutandine. Ha sorriso, ha detto “Ciao, sono Leila” e ha infilato una mano nella mia scatola dei biscotti.