Un fucile d'assalto rosa con sopra la scritta: "I gay indossano molti cappelli, ma tenere al sicuro quelli che amano è il primo passo"

Da dove vengono i Pink Pistols, l'associazione che vuole armare i gay

Giulia Pompili
Il movimento di Pink Pistols “farebbe molto di più per l’autostima della prossima generazione di uomini e donne omosessuali di qualsiasi numero di leggi sui crimini d’odio  o leggi contro la discriminazione”.

Roma. Shannon Tahjanjoki si è presentata al gay pride di Seattle, il 26 giugno scorso, con un vestito nero, i capelli biondi sciolti sulla schiena, e un fucile a tracolla. In mano portava un cartello con l’arcobaleno, simbolo del movimento LGBT, e molti cuoricini. C’era scritto: “Vi copro io, mentre ballate”. Shannon non è gay, ma milita nell’associazione Pink Pistols, dedicata all’“uso delle armi da fuoco in modo legale e responsabile da parte delle comunità di minoranze sessuli”. Si legge sul loro sito: “Non crediamo più che sia un diritto, per chi odia e terrorizza i gay, le lesbiche e i trans, usarci come target della loro rabbia. L’autodifesa è un nostro diritto”. Shannon ha raccontato sulla pagina Facebook dei Pink Pistols che negli anni scorsi, al gay pride di Olympia per esempio, molte persone avevano cercato di cacciare i militanti (armati) che stavano partecipando alla manifestazione. Lo stesso, in misura ridotta, era accaduto durante la scorsa edizione, a Seattle. Ma quest’anno era diverso. Questo è l’anno di Orlando, del Pulse. La stessa Shannon ha spiegato di essersi sentita un po’ nervosa: presentarsi al gay pride con un fucile sarebbe stata vissuta dai manifestanti come una provocazione? E invece no, non ha trovato nessuno a insultarla, e anzi molte persone si sono avvicinate a lei per abbracciarla e ringraziarla.

 

Due giorni fa Rolling Stone – magazine tradizionalmente contro la National Rifle Association – ha dedicato un lungo articolo alla comunità dei Pink Pistols. Scrive Andrew Belonsky che l’associazione (che oggi conta 45 sedi su tutto il territorio degli Stati Uniti) è nata nel 2000 grazie al giornalista gay Jonathan Rauch, attivista molto apprezzato anche negli ambienti più conservatori – suo il libro del 1993 “Kindly Inquisitors: The New Attacks on Free Thought” sull’ossessione del politicamente corretto che limita la libertà d’espressione in America. Il 14 marzo del 2000 Rauch pubblicò su Salon un articolo divenuto poi celebre nell’ambiente. Era titolato, appunto: “Pink Pistols”. Secondo Rauch, non sono le leggi contro gli hate speech a salvaguardare gli omosessuali dalla violenza altrui. L’unico modo per difendersi sono le armi: “Se gli antisemiti odiano Israele, devono odiarla molto, perché Israele infranse l’antico stereotipo dell’ebreo impotente e frignone. Gli ebrei hanno un esercito! Gli ebrei possono combattere! Potete odiare Israele quanto volete, ma non potete fare i bulli con lei. Israele ha cambiato il modo in cui gli ebrei vedevano loro stessi, e questo ha cambiato il modo di essere gentili con loro. Le pistole possono fare lo stesso per gli omoessuali: emanciparli dalla loro immagine – spesso interiorizzata – di strisciante debolezza”.

 

Rauch auspicava quindi la creazione di un movimento di Pink Pistols, che “vi assicuro, farebbe molto di più per l’autostima della prossima generazione di uomini e donne omosessuali di qualsiasi numero di leggi sui crimini d’odio  o leggi contro la discriminazione”. Il riferimento a Israele non è casuale: molti dei Pink Pistols sui social network condividono l’idea che al Pulse non sarebbe andata a finire così, se solo gli omosessuali avessero avuto il diritto di difendersi, come accade in Israele. Al gay pride di New York di qualche giorno fa hanno partecipato anche i militanti di Gay Against Guns (Gag). Intervistato su Rolling Stone, uno degli animatori del Gag, Brian Worth, ha detto che le due associazioni pro e contro le armi da fuoco “hanno le stesse sensazioni, ma reagiscono in modo diverso”: “[…] Ho spesso pensato di avere un’organizzazione chiamata Gay con le pistole. Non dovremmo nemmeno avere bisogno delle pistole, perché la sola idea di un gay che ha una pistola potrebbe essere sufficiente per cambiare la percezione della gente”. Questa – scrive Belonsky su Rolling Stone – è esattamente la posizione dei Pink Pistols.

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  • Giulia Pompili
  • È nata il 4 luglio. Giornalista del Foglio da più di un decennio, scrive soprattutto di Asia orientale, di Giappone e Coree, di Cina e dei suoi rapporti con il resto del mondo, ma anche di sicurezza, Difesa e politica internazionale. È autrice della newsletter settimanale Katane, la prima in italiano sull’area dell’Indo-Pacifico, e ha scritto tre libri: "Sotto lo stesso cielo. Giappone, Taiwan e Corea, i rivali di Pechino che stanno facendo grande l'Asia", “Al cuore dell’Italia. Come Russia e Cina stanno cercando di conquistare il paese” con Valerio Valentini (entrambi per Mondadori), e “Belli da morire. Il lato oscuro del K-pop” (Rizzoli Lizard). È terzo dan di kendo.