La sera delle cover, o dei nostri cuori-spazzatura

Maurizio Crippa
Ma i Pooh sono o non sono stati i nostri Beatles? E Piccola Ketty era in playback o no? Come mai c’è stato un punto e mezzo in meno di share (forse il paese social-reale era in birreria)

“Uno che piscia da sotto in su
e tutti che cantano I love you”

 

"Dio delle cittaààà / e dell’immensità". Devo confessare che causa frittelle col miele di fichi mi sono bypassato l’inizio (Din: “Non ho parole”). E arrivo giusto per la cover delle cover, insomma per il gran finale di carriera dei Pooh. “MA SCUSAAAAAAAAAAAA AHAHAH ODDIO HO LE LACRIME”. Sì, credo che l’effetto Facchinetti and Friends sugli abitatori del social-mondo sia più o meno questo. Però: “Guarda che io sto piangendo, e forse domani faccio coming out: sì, mi piacevano i Pooh, Neil Young perdonami”. “MA SEMBRANO UNA PARODIA DI LORO STESSI”. Eh, se c’è arrivato anche l’angelo di WhatsApp. Certo che sì. Tutti lì sono parodie di se stessi (e qui si fa parodia della parodia, la mise en abîme, col circonflesso, che bello poterlo scrivere). Anzi sono la cover di se stessi. Ma anche quella ragazzona emiliana in salute da 70 milioni di dischi della Pausini, l’altra sera, faceva la cover di se stessa. “Ma piccola Ketty era chiaramente in playback”. E che vuol dire? Perché, Fragola è dal vivo?

 

E i Pooh, vabbé i Pooh, che sono sempre vestiti come i Fantastici 4 anche se sono cinque, sono la cover di almeno due repubbliche italiane. “Sono i Beatles italiani” (ma saggiamente dal social-mondo non è giunta risposta. Due a zero per l’angelo). C’è qualcosa come i Pooh che ha accompagnato senza fare un plissé, o un cambio di giro armonico, l’evoluzione del costume del maschio italiano? Dai turbamenti del tradimento post cattolico, “mi dispiace devo andareee / il mio posto è là”, alla presa di coscienza pre-genderista che era tutta colpa della chiesa: “Ci sono uomini soli / perché han studiato da prete”? Din. “Intanto il medley più lungo della storia”. Sì, se lo meritano. E, “intanto”, ieri sera sul divano che c’erano anche le amiche di mia moglie, è stato un momento-verità, non certo un momento nostalgia. Chiedimi chi erano le groupie.

 


Sanremo, San Macacu e San Nissoen: "Ci tiriamo via il coperchio e ci riempiamo di canzoni" (Davide Van de Sfross)


 

Che poi, appunto, gli Stadio. Con Lucio Dalla, se lo meritano che hanno vinto (adesso non saprei dire a che cosa serva, per la finale, e non me l’hanno whatsappato). Fanno una cover di una cosa che sanno, sono credibili, loro e anche secondo me Noemi (mio Dio, l’ho detto: angelo del social-mondo non fare commenti). Ma, prendiamo il secondo e il terzo: Clementino che fa Don Raffaè e Valerio “Iddio-lo-perdoni” Scanu che canta Battisti come se fosse un parlamentare di Ncd? Hanno qualcosa da raccontare?

 

Perché la sera delle cover è la sera delle cover, almeno le canzoni le sappiamo (se vi ricordavate pure Gli Alunni del sole, parlatene con un medico di fiducia), anche se ha fatto 47,88 per cento, un punto e mezzo in meno rispetto al 2015 (ma lì c’era il volano dell’Expo, credo). E sono le solite due Italie, quella che crede fermamente che quello che sta vedendo nel rettangolo piatto stia accadendo davvero, mentre quella che vive nel mondo reale, il social-mondo, mi sa che era più in birreria (artigianale).

 

Comunque la sera delle cover, devo dire che ho letto anche della bibliografia, è sempre un po’ la sera della verità non solo per i cantanti: che sai fare tu, oltre a cantare dentro nei dischi? Ma anche e soprattutto per noi. Una sera rivelatrice, una sera storta “cumè un cerott in soel genoecc”, di quelle che tutti facciamo i conti con i nostri cuori spazzatura e i nostri ritornelli segreti, “se tirum via el cuveerc / e se impienissum de canzòn”, come canta il Davide Van De Sfross che pure a Sanremo non aveva sfigurato. Lagheé.

 

Din. “Il mistero delle tette della valletta. Contro la legge di gravità”. “Grazie che me l’hai detto che non stavo guardando. Sono innamorato”. (“Sotto la quinta non è vero amore”. Bisio, cit.). Cover a parte, come muove l’asta Rouge, nessuno. Oppure anche Morgan, almeno è uno che (din) “una volta siamo andati via da un concerto perché cantava da quattro ore e non smetteva”. Ma tu fai cantare una Francesca Michelin (“X Factor, uno dei primi di Sky”) per tre quarti d’ora: e poi?

 

[**Video_box_2**]Din. “Noto su twitter molta convergrenza su Arisa”. Questa cosa dei cognomi. Che poi lei, ho googlato, fa Pippa. Rosalba. Ed è orribile questa schiavitù imposta della famiglia naturale, servirebbe una legge che ti permette di optare per la stepchild adoption dal primo anno di vita. Che se ti chiamavi Rosalba Elton (o sarà Rosalba John?) mica c’avevi bisogno di rinunciare, al cognome.

 

Ps. Quei geni di Elio e le Storie tese che fanno la cover della Quinta di Beethoven, che io credo che su YouTube non c’è, la Quinta. Ma volevi che qualcuno la votasse, la cover di Beethoven?

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  • Maurizio Crippa
  • "Maurizio Crippa, vicedirettore, è nato a Milano un 27 febbraio di rondini e primavera. Era il 1961. E’ cresciuto a Monza, la sua Heimat, ma da più di vent’anni è un orgoglioso milanese metropolitano. Ha fatto il liceo classico e si è laureato in Storia del cinema, il suo primo amore. Poi ci sono gli amori di una vita: l’Inter, la montagna, Jannacci e Neil Young. Lavora nella redazione di Milano e si occupa un po’ di tutto: di politica, quando può di cultura, quando vuole di chiesa. E’ felice di avere due grandi Papi, Francesco e Benedetto. Non ha scritto libri (“perché scrivere brutti libri nuovi quando ci sono ancora tanti libri vecchi belli da leggere?”, gli ha insegnato Sandro Fusina). Insegue da tempo il sogno di saper usare i social media, ma poi grazie a Dio si ravvede.

    E’ responsabile della pagina settimanale del Foglio GranMilano, scrive ogni giorno Contro Mastro Ciliegia sulla prima pagina. Ha una moglie, Emilia, e due figli, Giovanni e Francesco, che non sono più bambini"