Minority report

Londra, Pyongyang e la necessità di un nuovo linguaggio per combattere relativismo e propaganda

Giovanni Maddalena
Si può cambiare il modo di pensare e sentire di un intero popolo? Non solo i pensieri "alti", ma anche quelli quotidiani che hanno a che fare con la musica, il modo di percepire il proprio corpo e la propria persona, l'amicizia, le virtù, il modo di bere del sabato sera? Che cosa insegna il caso di Alessandro Ford

Si può cambiare il modo di pensare e sentire di un intero popolo? Non solo i pensieri "alti", quelli che riguardano la giustizia, la libertà, la religione, ma anche quelli quotidiani che hanno a che fare con la musica che piace, con il modo di percepire il proprio corpo e la propria persona, l'amicizia, le virtù, il modo di bere del sabato sera? In una parola, si può cambiare la concezione antropologica di un intero popolo? E se sì, come?

 

Già sappiamo che è così dalla triste vicenda dei totalitarismi del XX secolo, approvati e appoggiati dalla maggioranza, pronta poi a smentirli e rinnegarli in pochi giorni.

 

Tuttavia, il curioso fatto dello studente inglese Alessandro Ford che ha passato un anno di università in Nord Corea suscita più di qualche domanda, da porsi sotto l'ombrellone.

 

Nella sua intervista al Guardian il giovane Ford, ovviamente figlio di un importante uomo politico che ha costruito questa opportunità, racconta che in Nord Corea si è trovato bene, l'università era di buon livello e se le docce erano comuni e un po' spartane, le si compensava con le terme che i nord coreani come gli antichi romani utilizzano come ritrovo sociale. Le osservazioni più interessanti però riguardano la celebre concezione antropologica, che non è appena la politica, in cui i nordcoreani chiaramente si percepiscono come una nazione perseguitata dal capitalismo americano, ma la percezione dell'essere umano nei suoi gesti quotidiani. Secondo Ford i suoi compagni di università trovano che sia più rispettoso avere rapporti sessuali solo con prospettive stabili, e persino solo dopo il matrimonio, stanno quasi sempre insieme senza avvertire l'occidentale bisogno di solitudine, pensano che la musica di Eminem sia assurdamente critica e volgare quando invece la musica dovrebbe cercare di cantare le bellezze della famiglia e del proprio popolo.

 

Certo, a una prima lettura si dirà che ovviamente i regimi sono conservatori e che ci sono molte analogie tra Nord Corea e Russia putiniana, e tra queste ultime e ogni dispotismo della storia. Sicuramente c'è del vero: quello che abbiamo imparato da tutti i totalitarismi - e che si può ripetere in tante piccole forme in famiglie e gruppi di ogni genere e tipo - è che l'uomo solo al comando (spesso ingannato dai suoi cerchi magici che gli danno una falsa rappresentazione della realtà) può far cambiare gusti, percezioni e valori a furia di propaganda, controllo degli spazi pubblici di parola, esclusione sociale dei critici e delle critiche, manipolazione dei dati storici, semplificazioni che spengono ogni domanda.

 

Tuttavia, le cose non sono solo così. Le discussioni di Ford con i suoi compagni nord coreani sembrano autentiche. Ora, chi ha ragione: siamo noi o sono loro a essere vittime della propaganda? Era un pensiero che angosciava spesso Pasolini: il nostro stile di vita basato su una certa concezione di musica, sesso, affetto, lavoro, diritti civili è frutto della natura umana, delle nostre civili interpretazioni culturali o della moda sociale per cui facciamo "come fanno gli altri" e in cima alla moda ci sono persone che decidono per tutti secondo i propri interessi di vario tipo?

 

È il celebre problema del relativismo: nessuno e tutti hanno ragione? la solitudine è assurda a Pyongyang e cool a Londra? Non ci sono verità universali? In questo caso ognuno vive la sua esperienza - limitata da poteri piccoli o grandi - e i valori sono validi solo all'interno di quell'esperienza. Vogliamo davvero un mondo fatto di piccole o grandi sette le cui verità sono incomunicabili?

 

[**Video_box_2**]Oppure la verità deve valere per tutti, come volevano, con criteri opposti ma comune fiducia nella ragione, Cristianesimo e Illuminismo? Ma come fa a esserci una verità per tutti senza che alla fine essa, per sua natura, richieda un'imposizione violenta?

 

BXVI aveva proposto che il "per tutti" fosse un ideale regolativo a cui anche i non credenti avrebbero potuto accedere vivendo etsi Deus daretur, come se Dio ci fosse. I pragmatisti americani dicevano che basta dare tempo alla ricerca, se questa è condotta in comune, con consapevolezza della propria storia e dei propri pregiudizi, desiderio del vero, apertura alla possibilità, accettazione dei dati.

 

Né l'uno né gli altri hanno avuto tanta fortuna: il primo scambiato per un dogmatico i secondi per banali utilitaristi. Forse, in entrambi i casi è stato il linguaggio legato a schemi antichi a non farne cogliere la novità implicita. Ma forse è ora di impegnarsi per nuovi tipi di ragionamento e di linguaggio che provino strade nuove per fare stare insieme la nostra esigenza di verità e la difesa del singolo, la natura delle cose e la loro storia, la norma e l'eccezione. Altrimenti Alessandro Ford e i suoi compagni nordcoreani sono condannati a un mondo settario di indifferenza o di violenza.

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