Vincino (a sinistra) e Vauro

La satira nell'era Renzi

Stefano Di Michele
“Arrogante”, “mussoliniano”, “altezzoso”, “banale”, ma mai davvero attaccato. Perché i vignettisti non sanno sfottere il premier? Parlano Staino, Vincino e Vauro - di Stefano Di Michele

C’è gusto, a prendere per il culo Renzi? Meglio: il tipino fiorentino viene preso abbastanza per il culo? Di sicuro, la satira ha tirato – non fosse altro che per banali ragioni di convenienza – un sospiro di sollievo: dopo Monti in loden, dopo Letta in Smart, pure la matita rischiava un malinconico afflosciamento: eco/bio/euro/eu/école/sogliola alla mugnaia/ verdure scondite/acqua senza gas. E’ stato come un rifornimento industriale di Viagra. Sì, vabbè, i grillini – ma Grillo a parte, al resto della compagnia non si poteva mettere una cazzata in bocca che subito ne tiravano fuori una vera parecchio più divertente. C’è Salvini – ma oltre il ristretto ambito pedemontano, a petto nudo con la cravatta verde si era già messo il diretto interessato, e che altro puoi inventarti, mentre il foglio bianco ti guarda in cagnesco? Per un vignettista Renzi è la mano santa, il colpo in canna, ognuno torna un po’ a sentirsi gatto a guardia del trippaio. Vignettisticamente parlando – e politicamente sorvolando – Matteo appartiene alla stessa categoria dei Craxi e dei Berlusconi (milanesi, ma spendibili pure al di sotto del tratto Barberino-Roncobilaccio: come il panettone a Natale, come la monaca dopo Monza): già pronto per farsi icona, capace di accendere la fantasia, di procurare innamoramenti folli e, soprattutto, di far girare le palle. Finalmente un “dark premier”, il maleducato che ci piace un po’ essere, mani in saccoccia e faccia da impunito, uno “pan di Prato, vin di Pomino, potta lucchese e cinci fiorentino” tutto insieme. E pure tra i sommi maestri della matita, il Renzi ha portato scompiglio e ripensamenti. Come è successo con Sergio Staino, che ha appena inaugurato la sua bella mostra al Macro del Testaccio romano – peraltro toscano, peraltro inventore di quel Bobo panciuto/barbuto/dubbioso, perfetto militante di fede e di panza che dagli anni Settanta a oggi ha seguito, con speranzoso patimento, ogni contorcimento del Gran Partito (compagni, avanti il).

 

Un paio d’anni fa, al Corriere della Sera – in accenno di fede cuperliana: “Ha stoffa” – Staino sistemava con un paio di colpi da maestro il sorgente Matteo che, già simile al “Carletto, il principe dei mostri”, si preparava da Firenze a “pucciare” il suo nel gran caffellatte del piddì bersaniano. Perfetta descrizione estetica: “La faccina, per carità, è carina e con l’aria furbetta, ti fa le battutine, prova a farti sognare…” (guardate i cartoni di Carletto e dite se non è il suo perfetto ritratto). Quindi lanciava l’allarme: “E poi che c’è sotto? C’è solo un efficientismo liberista, sfrenato, cupo, alla Marchionne”. Infine, la diagnosi: “Credo che Renzi sia come il Prozac, quella medicina che ti fa alzare e sorridere e sentire contento, senza che ce ne sia motivo”. Così parlò Staino. Poi è andata come è andata, e Carletto e i suoi mostri gigliati hanno preso Partito & Paese. Non che a Staino piaccia molto di più – piuttosto: “Di Renzi non mi piace quasi niente” – ma di sicuro molto di meno gli piacciono i suoi avversari. Ricorda al Fatto che con D’Alema parlò del Renzi allora sorgente. “Ma Sergio, ma che dici? Ma cosa te ne frega? Renzi tanto finisce”, rispose quello. “Ha sempre risposto con alterigia”, stringe adesso le spalle il papà di Bobo. E Bersani, l’estremo segretario della Ditta, il conducator ultimo della scombinata opposizione interna? “Come si permette di criticare quando è stato il primo a portare il partito verso la catastrofe? Deve andare al parco con i pensionati!”. Al Quotidiano nazionale, Staino spiega ancora meglio i suoi tormenti di vignettista e militante: “Vogliamo disegnare Renzi col fez? Complimenti! Così il cosiddetto popolo di sinistra è sempre più confuso e strabordano grillini e leghisti”. I suoi avversari? L’ombra dell’ortodosso Molotov, insieme a quella del suo amico Bobo, si materializzano: “Se Togliatti fosse vivo li avrebbe mandati in Siberia!”. E analizza: “Renzi non è arrivato al vertice di Pd e governo con i carri armati o con un golpe… Dico che va incalzato. Non intralciato a vanvera”. Così adesso Staino.

 

Il sublime nostro Vincino, dice che “siamo tutti affascinati” da quel gran bischero di talento, che ha avuto la capacità di “sgominare tutta la cricca” che da decenni controllava la sinistra – e che, simili al Panda Minore della leggenda narrato dalla Morante, sopra l’albero immobili sedevano e sedevano e sedevano. “Sono contento che Staino sia sulle mie posizioni”. La prima vignetta che Vincino fece su Renzi risale al 2009, lui era ancora presidente della provincia fiorentina, “sveglio e simpatico”, poi, anni dopo la fenomenale “Cavalcata” (il titolo di una sua raccolta che racconta l’irresistibile ascesa, Matteo di blu vestito su cavallo ocra, via di mezzo tra buttero maremmano e Tom Mix hollywoodiano), “in sei mesi, da quando non era un cazzo, ha conquistato tutto, e quindi una vignetta al giorno”. Perché il patimento precedente, molto si era fatto sentire: “Renzi è un mattatore, Letta era terribile. Tutto pieno di risentimenti, silenzioso, uno che c’ha lo zio, un famiglio delle portinerie dei grandi palazzi. Insopportabile”. E un po’ stainamente, a Vincino viene forte l’orticaria quando sente gli avversari attaccare Renzi al canto solenne e ormai banalizzato del “Bella ciao” innalzato come quadrata legione in difesa della democrazia. “Dicono che è giovane, prepotente, beh, un po’ di prepotenza ci vuole… Che vuoi, a volte, pure la satira si adagia sui luoghi comuni…”. Satira che “finora lo ha trattato abbastanza benevolmente, molto bene, troppo bene”. Piuttosto altri sono, per Vincino, i rischi che corre il giovane Matteo. “Si attornia di imbecilli, ha la capacità di calamitare tutta una feccia di ex Sel ed ex grillini. Si circonda di gente insopportabile, di cloni che vanno in televisione e a pappagallo ripetono certe banalità che fanno cadere le braccia… ‘Cantone lo abbiamo messo noi all’anticorruzione’, un oscuro magistrato, ma per carità! Alcuni di questi suoi seguaci, quasi tutti, sono penosi… Basta pensare a quella fiera del nulla che è stata la Leopolda ultima…”. Renzi per Vincino deve continuare a correre, correre, correre – come una sorta di Forrest Gump: “Bisogna essere veloci, decisi, l’unico modo per fare le cose in Italia. Bisogna fare le vere rotture, cambiare tutto, e tu caro Renzi non lo stai facendo”. Perciò? “Perciò, sulle sue contraddizioni continuerò a beccarlo”.

 

A dirla tutta, a Vincino neppure il patto del Nazareno – la temibile Spectre che smuove il cuore in petto e il canto partigiano fa innalzare – dispiaceva. Anzi, anzi. “C’era vera capacità politica”. Come nel colpo di genio degli ottanta euro – mito fondante, si potrebbe dire, del renzismo compassionevole. La cui intuizione suprema Vincino ha immortalato una sera a mezzanotte, nel parco delle Cascine. Da un’automobile chiedono: “Quanto?”. E le due operatrici a bordo strada: “Ottanta euro”. Tra i maggiori difetti di Renzi – a parte la corte sospesa tra una volontà apparente a fare come i Medici e una sostanza reale da Puffi, oltre a “il pessimo inglese” sfoggiato – il laicissimo Vincino uno particolare ne evidenzia: “E’ una contraddizione, ma lui è un vero puritano… Una volta l’ho disegnato alla scrivania, col culone di una che spuntava da sotto il tavolo. Si è incazzato davvero…”. E’ quando il boy scout sopravanza sul “dark premier”, il frizzante e suscettibile Dart Fener post Italicum.

 

La benevolenza dei vignettisti casarecci verso Renzi, raccontata dal simpatizzante  Vincino, è reale? In parte sì, pare qua e là di intravederla. Insomma: il Cav. non è (ancora del tutto). Sul manifesto, per esempio, Mauro Biani lo disegna altezzoso, preso da divertenti dubbi – “Denuncio la possibile infiltrazione di elettori di sinistra”, o allo specchio con il se stesso riflesso in Berlusconi – “Il ritratto di Dorian Gray”, oppure col colbacco tipo Totò e Peppino a Milano –  “Noi vorremmo sapere, per andare dove dobbiamo andare, per dove dobbiamo andare?”, fighetto con selfie in corso sul mussoliniano balcone – “Tranquilli, la democrazia è come la cultura, non si mangia”, persino in una fenomenale incarnazione gramsciana, capelli e occhialini come quelli del fondatore del Pci, ma immacolata camicia bianca su fondo rosso: “Alla fine ho votato Renzi, che sennò qua non si vince mai”. Ellekappa su Repubblica (i suoi dubbiosi personaggi di sinistra possono essere o apparire come l’incarnazione metropolitana della piccola enclave di antichi militanti di provincia di Staino: e non è detto che non siano le stesse le considerazioni sul leader al lavoro e sulla pochezza dei suoi oppositori) è forse più amara che furiosa, e il suo perplesso elettore ha i tipici dubbi di quello che, più che spinto dalla fede, è ormai trasportato dalla rassegnazione. Tipo: “Renzi non sopporta le regole e grida al complotto”. “E se questo è l’inizio tra vent’anni si fa pure il lifting”. Oppure: “Matteo Renzi è indispensabile per il Pd”. “Come Yoko Ono per i Beatles”. Del resto: “Non si sa cosa stia succedendo nel Pd”. “Da circa trent’anni”. Definitivo: “Pd, ultima minaccia della minoranza”. “Niente scissione” – quasi ideale, perfetto raccordo con Staino, del resto amatissimo da Laura Pellegrini.

 

Di sicuro, il più feroce antipatizzante di Renzi, laggiù nel regno delle matite (definizione evocativa di “Un regno di matite”, il bellissimo libro di Elias Canetti) è Vauro. Che si è pure vestito da boy scout, in diretta con Michele Santoro, per meglio coglionare il leader & premier, “signori e quistori” come dice il Catarella di Montalbano. “Ormai è quasi banale dire che Renzi è pericoloso per la democrazia – assicura Vauro al Foglio – Pericolosa la concezione della politica che porta avanti, la sua gestione del potere, la sua perpetua arroganza in ogni contesto. Renzi mi trasmette prepotenza e arroganza”. E la sua estetica, secondo te, qual è? “Hai presente il ‘Pinocchio’ di Comencini?”. Quello con Manfredi? “Ecco: tu prendi Pinocchio, ma non il bambino, ma proprio il pezzo di legno, gli metti due dentini da castoro, un paio di nei, ed è identico a Renzi. Spiccicato. E poi un’altra sua prerogativa è la banalità, quell’uomo è sconcertatamente banale”. Comunque, dopo la carestia di Monti… “A me Monti, da un punto di vista satirico, piaceva molto, con quel suo loden sotto il quale lo immaginavo nudo. Il re nudo sotto il cappotto piace sempre”. Ti ricorda Berlusconi, come molti dicono? “L’amore per il potere, il narcisismo, anche l’arroganza: non gli manca nessuna caratteristica di Berlusconi. Berlusconismo incarnato. Possiamo dire che Renzi è la prosecuzione di Berlusconi con altri mezzi”. Così che nella sua vignetta Matteo ha la crestina da brava cameriera, e spolvera l’aquila confindustriale, “la Colf Industria”. Oppure eccolo con il carrello della spesa, alle prese con la “Costituzione fai da te”: “La prendo all’Ikea”.

 

Ha spiegato Emilio Giannelli, vignettista principe del Corriere della Sera: “Renzi cresce tra i soggetti da disegnare nelle vignette e si avvicina sempre più all’essere preso in giro. Ultimamente l’ho visto in televisione e sembrava Napoleone prima della battaglia di Waterloo”. Per l’esattezza, “molto pensieroso e accigliato”, lo ha visto Giannelli. Lo stesso, nelle sue vignette, pur come Napoleone alla vigilia dello sfigatissimo scontro, Renzi in qualche modo appare in salda gloria: gigantesco e satollo e grasso dopo l’Expo, con Bersani che confida a D’Alema: “Con il successo dell’Expo è ingrassato venti chili!”, o in reale effigie accanto alla Boschi: “Ritorno alla monarchia. Il Re(nzi) e la Regina Elena”, oppure due perplessi turisti che a spasso presso il Foro Italicum scoprono che sul famoso (in)fausto obelisco la scritta “Dux” è stata sostituita con la scritta “Matteo Renzi”. Sul Giornale, Krancic sfotte “il sedicente fiorentista, in realtà nato nel contado, come si dice qui”. E nega, in qualche modo, la specificità renziana. “Non è che sia un personaggio che faccia impazzire un vignettista. Prodi e Berlusconi, piuttosto, erano una manna per noi… Sfugge, è difficile agguantarlo in una situazione particolare, non mi pare un innovatore, nemmeno in politica estera, come per esempio Craxi e Berlusconi… E’ solo decisionista, sfiora l’arroganza. Qualche volta lo incontravo qui a Firenze, aveva sempre qualcosa di borioso addosso, come uno che abbia molta stima di se stesso”. Ricorda la prima vignetta che gli ha dedicato, in un programma Rai, nei giorni lontani della pedonalizzazione del centro fiorentino. “Pedone lo sbirro”, recitava la vignetta. “‘Non pare molto contento’, mi fecero sapere”. Renzi è ritratto come uno scolaretto davanti alla cattedra della Merkel, oppure sempre con la Merkel dietro l’angolo che lo aspetta, frustino e stivali di cuoio, o anche che risponde: “Via la Bossi-Fini!” e “Sì alle unioni gay!”, all’allarme sulla disoccupazione e povertà record. “Ma in generale – ammette – non è che sia attaccato dalla satira come Berlusconi”.

 

Il divino Altan, un anno fa, a Malcom Pagani del Fatto che gli faceva notare la somiglianza tra Renzi e Berlusconi, replicò: “Non mi pare. Forse le tecniche affabulatorie si somigliano, ma nei suoi occhi non vedo la stessa cupidigia. Alle primarie non l’ho votato, ma una possibilità, da elettore, devo dargliela. Il suo avvento è la cosa più vicina a smuovere le acque che abbiamo visto negli ultimi decenni. Poi è tutto discutibile, ma mandare sempre la palla altrove non è saggio. Cerchiamo di mettere le mani nella pasta che abbiamo davanti a noi, per una volta”. Come poi la pasta renziana sia lievitata, chissà. Però anche Altan, altro vignettista mito della sinistra, mostrava allora quello stesso atteggiamento di attesa, di meglio-questo-che-il-nulla, così bene spiegato da Staino. E il suo omino è sul cesso che si sforza e spera: “Aspetto fiducioso il decreto sblocca Italia”. O la sua donnina dalle tette al vento, che legge un comunicato: “Il popolo potrà visitare la sua sinistra ogni secondo weekend del mese”. Uno che dice al disoccupato: “Lavoro non ce n’è”. E l’altro, linguisticamente avvertito: “Mi trovi un job, allora”.

 

[**Video_box_2**]Argomento delicato, quello che invece sfiora, nelle sue cronache, il famosissimo e illustre Vernacoliere verso l’ancor più illustre corregionale. Già nei giorni della sfida con Bersani la metteva così: “Renzi-Bersani. Sfida epocale ner Piddì. Pipiritto contro Pallemosce. La base ’un cià dubbi: ma ’r buo è sempre ’r nostro”. Recentemente, un titolo più dettagliato sulla questione: “Ir padrone vole la fiducia anche su quello! Renzi cià un modesto pipi. Ma ’r Parlamento deve dì che è un cazzo!”. E due personaggi lì accanto: “Modesto, ir pipi di Renzi?!”. “Piccino sì. Ma di morto artezzoso!”. Geniale – al centimetro, diciamo. Ma forse ha ragione Vincino: non è poi così attaccato, in satira e in vignetta (pistolino a parte), almeno non troppo ferocemente, il Renzi ora napoleonico ora mussoliniano ora (addirittura) gramsciano, ora vanitoso ora sospiroso. A parte Vauro, con i cosciotti da boy scout leninista a vista, a favore di telecamera. Al tuo amico Vincino, comunque, Renzi non dispiace troppo. Risataccia: “A Vincino ci piace la Boschi!!!!!!”.

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