Chi ha ucciso Willy l'avrebbe fatto comunque, anche senza conoscere il karate
Se avessero davvero praticato lo sport, non lo avrebbero ammazzato di botte. L’Mma spiegata a chi non ne sa niente
All’inizio della pratica il principiante è inconsapevole. Chi ha appena iniziato a fare uno sport da combattimento non sa che l’avversario non è quello che gli si presenta davanti. E’ se stesso. Per i primi anni funziona così: l’adrenalina annebbia tutto, prende il posto della razionalità, e quindi della tecnica. L’allenamento, e quindi il sacrificio, non riguarda l’eseguire un punto ma creare le condizioni per farlo. Più la furia agonistica si sostituisce alla razionalità, più il combattimento è inutile: non solo al punto non ci si arriva, ma ci si fa male, e si perde. Ecco il combattimento contro se stessi, che spesso dura una vita intera: allenarsi a controllare l’istinto, altrimenti si perde la testa.
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- Giulia Pompili
È nata il 4 luglio. Giornalista del Foglio da più di un decennio, scrive soprattutto di Asia orientale, di Giappone e Coree, di Cina e dei suoi rapporti con il resto del mondo, ma anche di sicurezza, Difesa e politica internazionale. È autrice della newsletter settimanale Katane, la prima in italiano sull’area dell’Indo-Pacifico, e ha scritto tre libri: "Sotto lo stesso cielo. Giappone, Taiwan e Corea, i rivali di Pechino che stanno facendo grande l'Asia", “Al cuore dell’Italia. Come Russia e Cina stanno cercando di conquistare il paese” con Valerio Valentini (entrambi per Mondadori), e “Belli da morire. Il lato oscuro del K-pop” (Rizzoli Lizard). È terzo dan di kendo.