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Il coraggio (tedesco) di non cedere all'euforia da auto elettrica

Maria Carla Sicilia

Merkel riunisce il “cartello del diesel” per gestire uno psicodramma nazionale

La partita che si gioca intorno alla mobilità è una partita complessa, che tira in ballo diversi interessi legati alle tecnologie che si dividono la torta. L'auto elettrica è solo una delle opzioni, insieme all'ibrido e ai combustibili alternativi, come gpl e metano, oltre che i biocarburanti. In Germania, un paese storicamente legato all'industria automobilistica​ ​e al comparto del diesel, ​sembrano esserne coscienti. Oggi si sono riuniti intorno ad un tavolo diversi esponenti del governo e i rappresentanti delle più importanti case tedesche​ – Daimler, Bmw e Volkswagen, Audi, Opel, Ford e Porsche – con lo scopo di trovare un accordo che permetta alle auto diesel di continuare a circolare senza infrangere i limiti delle emissioni consentiti, risolvendo la crisi esistenziale delle imprese automobilistiche e il conseguente psicodramma nazionale.​ ​L'obiettivo è coraggioso, in un periodo in cui altri governi liquidano la questione approvando divieti tout court alla vendita o alla circolazione di auto con solo motore endotermico, e non è dettato solo da evidenti interessi da cui dipende in una certa misura la stabilità dell'economia tedesca, ma anche dalla volontà di mantenere un approccio pragmatico e realistico nella risoluzione delle questioni ambientali.

    

Fonte Politico.eu

 

Da sole, VW, Mercedes e Bmw rappresentano più della metà del surplus commerciale del paese e dall'intero settore automotive dipendono circa 800mila dipendenti. Secondo il Ft, il 10 per cento della forza lavoro industriale tedesca è legata alla produzione di motori a combustione interna e il 46 per cento delle auto vendute l'anno scorso in Germania sono diesel, meno del pre dieselgate, ma comunque tante. Si capisce che non si può smantellare un sistema così strutturato ed è per questo che il governo ha deciso di affrontare la questione insieme all'industria, che di per sé sta già facendo i conti con le concorrenti tecnologie. Basta pensare che nei piani di Daimler c'è di vendere una quota di auto elettriche tra il 10 e il 15 per cento entro il 2025.

  

Fonte Bloomberg.com

  

Tuttavia, il diesel resta un'alternativa da considerare per limitare la Co2, visto che emette circa un quinto in meno dell'anidride carbonica rispetto alla benzina. E ci sono margini di miglioramento, dalle migliorie sui motori agli aggiornamenti dei software. Interventi percorribili e risolutivi che hanno costi diversi (a carico delle imprese) e su cui oggi il governo cerca garanzie, mentre si rende disponibile a investire 500 milioni per permettere anche alle città di intervenire per ridurre le emissioni. I limiti europei sono stringenti e prevedono, dal 2021, che la media delle emissioni delle nuove auto vendute sia di 95 grammi di Co2 al chilometro e la Germania è abbastanza indietro (anche rispetto all'Italia), con una media di 127 grammi. Dalla sua la Vda, l'associazione dei costruttori tedeschi, ha già prospettato investimenti in tecnologie per la gestione del flusso del traffico, mentre le case – dopo il dieselgate – sono impegnate in richiami volontari di diversi milioni di automobili Euro 5 e Euro 6.

  

Dal summit di oggi ci si aspetta una soluzione condivisa che scagioni il governo Merkel dall'accusa di essere troppo indulgente con le case automobilistiche e che consenta nel frattempo di far rientrare le emissioni nei limiti, il tutto salvando il risvolto economico, a meno di due mesi dalle elezioni. Mentre fuori dal ministero, durante l'incontro, i gruppi ambientalisti protestano perché siano adottate soluzioni sempre più green. Ma il dato è che in Germania il diesel non è ancora dato per spacciato. Senza nascondere quanto l'economia tedesca dipenda dal comparto industriale che gli ruota intorno, viene difficile immaginare che Berlino – impegnata in prima linea nel rilancio degli impegni di Parigi – voglia aggirare l'aspetto ambientale. La sfida è tutelare la filiera nazionale in cui è più forte, dando tempo alle imprese di pianificare una "transizione" sensata, senza fare retroguardia. Forse non è poi così impossibile e almeno la Germania ci sta provando.