I nostri editori, che favola
Autobiografia di un foglio in perenne e divertito conflitto d’interessi. E quelli che ora hanno lagnarsi, spiegarsi
Editori, che passioni. A noi toccarono, a parte il grande Sergio Zuncheddu che ha sempre rasentato la perfezione, il conflitto di interessi potenziale, complicato dalla legge sulla cross ownership, che però ci diede modo di conoscere la squisita Veronica Lario impeccabile azionista al 38 per cento ad appena un mese dalla fondazione e per tanti anni. Fummo per un lungo periodo “il giornale della moglie di Berlusconi”, spregiativamente additati come il “giornale cognato” in riferimento al ben più consistente Giornale ex Montanelli, finché i casi della vita personale del Cav. e l’avvento di una Veronica guerriera trasformarono per i nostri detrattori l’orpello onomastico sfottente in un piccolo titolo di gloria. C’era anche il conflitto di interessi politico, diciamo che di Berlusconi e della sua famiglia si parlò abbastanza nei nostri primi vent’anni di vita, e il matto che la Provvidenza diede ai liberali alimentò qualche polemica imbarazzante per noi conservative-chic, in perenne adorazione del leader pop nella funzione scelta di servi liberi. Al culmine delle esplosioni vulcaniche di Villa Certosa, o se per questo della lap-dance di Arcore oggetto di persecuzione moralistica e repertoriata in foto e audio con qualche notevole rifrazione pubblica, chiamavo ogni mattina Marcenaro e gemevo: “Ti rendi conto quanto siamo diventati poco rispettabili? Che ne direbbe mio nonno Mario Ferrara?”. Poi se ne rideva. Essere un giornale libero e indipendente, che si considerava e autocomprendeva come semilibero e francamene dipendente, perfino tossicodipendente dall’Amor Nostro detto il Cav., mannaggia che passioni. Quando ero impeccabilmente ricevuto a pranzo dall’amabile e luciferino Carlo Caracciolo, il principe biondo delle famose memorie di Scalfari, o più tardi nella casa romana di Carlo De Benedetti, fingevo di domandarmi: ma in che cosa abbiamo sbagliato?
Il Cav. ci vuole ancora bene, e noi a lui
Lo stato, con i suoi meravigliosi e cospicui contributi al giornale culturale situato in un antimercato, contribuiva all’equilibrio del tutto, quando eravamo molto giovani e molto felici nella nostra Festa mobile. E da quel clima di impalpabile felicità editoriale non siamo mai usciti, fino al tranquillo ed elegante approdo all’investimento di Sorgente Group, nuova famiglia, i Mainetti, e vecchio stile. Certo eravamo e siamo piccoli, fuori del giro del profit and loss, infiltrati del giornalismo letterario un po’ bislacco, competitivi forse, ma su un altro piano. Fatto sta che tanti anni dopo, e nonostante tutto, il Cav., in apparenza liberalmente disinteressato a uno share of voice tanto marginale, ci vuole ancora un sacco di bene, e noi a lui, senza neanche bisogno di andare del tutto d’accordo, come sempre era avvenuto nei lunghi anni della convivenza, dell’unione incivile tra diversi. Non tutti sono stati così fortunati. Certi guai bisogna andare a cercarseli, e nascono dagli eccessi di retorica e pomposità libertaria. Noi ce ne cercammo altri, di guai, e ora i nostri ventitré anni, con e senza l’aiuto di quel formidabile cognac che è El Fundador, ci sembrano una favola. Non abbiamo comitati di redazione che devono ruggire, e non dobbiamo dare tante spiegazioni in lungo e in largo. Ben scavato, vecchia talpa.
Abituati alla tragedia