Le proteste contro il Tap in Puglia (foto LaPresse)

Tap, l'intifada dell'ulivo

Annalisa Chirico

Surreale viaggio salentino, tra digiunatori contro il gasdotto, che invece fa pure bene all’ambiente

Roma. Manifestanti che abbracciano gli ulivi, li accarezzano, qualcuno piange, un giovane e un anziano, entrambi in sciopero della fame da una settimana, vengono soccorsi da un’ambulanza, in cielo piovono sassi contro le forze dell’ordine. Siamo all’intifada dell’ulivo. Il gigante dal rugoso corpo nodoso incoronato dalla chioma argentea e brillante fa parlare di sé non per il suo olio, “un régal des dieux”, disse una volta il pittore Renoir, ma per la “lotta di liberazione”, copyright de Magistris, contro il gasdotto Tap. 3.500 chilometri di tubature che trasporteranno il gas dal mar Caspio fin nelle nostre case, il corridoio sud che romperà la subalternità a quello nord a trazione russa, una mega infrastruttura che per otto-chilometri-otto attraversa, per sua sventura, l’immacolato territorio italiano.

 

“Questa storia degli ulivi è un totem e niente più – dichiara al Foglio Michele Elia, ad di Tap – Negli ultimi quattro anni 100 mila ulivi sono stati spostati o manipolati per interventi infrastrutturali di vario tipo, per ampliare l’acquedotto, per gli impianti eolici, per le strade… E qui si alzano le barricate per 211 ulivi da rimuovere solo temporaneamente. Ogni ulivo è gestito con la massima delicatezza, collocato in un vivaio dove viene debitamente nutrito, è georeferenziato affinché al termine dei lavori sia collocato esattamente nella posizione originaria. Nessuno li cura più di noi questi ulivi…”. La conversazione appare surreale ma l’ingegnere Elia è serio, serissimo. “Solo lo scorso anno 2.500 ulivi sono stati movimentati per un’operazione su un tronco dell’Acquedotto pugliese, nessuno ha protestato. Contro il Tap invece è scoppiata la rivolta di 300 manifestanti anche se, mi lasci dire, la sola città di Melendugno conta 10 mila abitanti”.

 

 

La pattuglia dei No Tap, per quanto minoranza, è la più rumorosa. Sono scesi in piazza i sindaci dei comuni limitrofi, si è giunti al contatto fisico con i manganelli. “Una degenerazione evitabile – prosegue Elia – Qualcuno ha esposto uno striscione rivolto a un nostro dipendente con la scritta: Mostraci come muore un italiano. Nessun sindaco ha provveduto alla rimozione”. Gli otto-chilometri-otto lungo i quali la condotta del gas attraverserà la terraferma italiana sepolta a un metro e mezzo, dopo esservi arrivata attraverso un tunnel a una profondità di quindici metri sotto la spiaggia, sono all’origine di un’annosa battaglia giudiziaria conclusa con il via libera del Consiglio di stato e del ministero dell’Ambiente. Adesso davanti alla Consulta pende il ricorso per conflitto di attribuzione proposto dalla regione nei confronti del governo. “Ad oggi chi è ricorso in giudizio contro di noi è risultato soccombente, il che non è motivo di sollievo. La tecnica del ritardo ci danneggia perché Tap ha contratto degli impegni, l’infrastruttura dev’essere pronta per gennaio 2020. Abbiamo finestre temporali vincolate in fase non solo autorizzativa ma anche realizzativa. E’ sconcertante assistere al rimpallo di responsabilità da parte degli stessi enti che hanno partecipato attivamente al processo deliberativo e alla definizione di 65 prescrizioni ambientali. Pochi minuti fa il sindaco di Squinzano, tirato in ballo dal presidente Emiliano come meta preferibile per l’approdo Tap, lo ha bruscamente smentito”.

 

L’Italia è l’unico paese dove le amministrazioni locali hanno inneggiato alla rivolta. “In Grecia c’è la piccola protesta di qualche proprietario terriero ma nessun impedimento da parte delle autorità locali. Trattandosi di un’opera di interesse nazionale, il nostro interlocutore è il governo”. E dire che Tap non è la petroliera ammazzabalene ma una condotta sotterranea, invisibile agli occhi e a zero emissioni. “I vantaggi sono rilevanti. Tap diversifica le fonti di approvvigionamento energetico, aumenta la nostra sicurezza rendendoci meno dipendenti dal corridoio nord proveniente dalla Russia, contribuisce a una economia decarbonizzata, secondo gli impegni assunti dall’Italia al vertice di Parigi sul clima”.

 

40 miliardi di dollari il valore dell’intero progetto dal Caspio all’Italia, 3,3 miliardi la quota dei contratti assegnati ad aziende italiane per il microtunnel salentino. “La nostra è un’opera amica dell’ambiente. Il gas è un’energia più pulita del carbone, il tunnel in cemento armato, con un diametro di tre metri, percorre la zona di san Foca a quindici metri sottoterra. Una fognatura che scarica in mare è assai più impattante”. Elia è un ingegnere, quarant’anni in Ferrovie dello stato. “Dai no Tav sono passato ai no Tap”, ironizza. Nel mezzo c’è la strage di Viareggio che a lui, all’epoca numero uno di Rete ferroviaria italiana, è costata una condanna in primo grado a 7 anni e sei mesi per disastro ferroviario e omicidio colposo plurimo. “Dal 2000 al 2009 ho destinato 17 miliardi in sicurezza riducendo la frequenza degli incidenti da 100 a 10 su base annuale. Purtroppo non si è evitata una immane tragedia per la quale io non ho colpe. Sono sereno con la mia coscienza”.

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