Laura Boldrini (foto LaPresse)

Presidenta Boldrini, non si fermi. Dopo sindaca vogliamo leona e uoma

Ugo Cornia

Note a margine della preziosa battaglia sui femminili. Mi rimane qualche dubbio sui nomi in “ice”, come direttrice; meglio direttora o direttrice? Perché in tal caso si potrebbe suggerire anche “elefantrice” e “leonice”. Non ho dubbi invece su questa altra fastidiosa anomalia, il “montone” e la “pecora”.

Vorrei permettermi qualche annotazione a margine dei preziosi interventi della nostra Presidenta della Camera on. Boldrini in materia di discriminazione linguistica, anche per sottolineare il fatto che c’è ancora tanta strada da fare. Dunque, d’ora in avanti è meglio dire, molto più rispettosamente, sindaca invece di sindaco, ingegnera invece di ingegnere, dottora invece di dottoressa e così via. E’ vero che il tempo nella vita è poco, e l’on. Boldrini non può fare tutto da sola, ma mi permetto di suggerire che rimane ancora da rimettere mano completamente alla situazione dei nostri fratelli minori, i cosiddetti animali non umani. Chiunque si rende conto, basti frequentare un circo, un semplice zoo o anche uno zoo safari, che dappertutto è ancora in uso il femminile “elefantessa” al posto di “elefanta”, migliore. Lo stesso vale per la regina della foresta, grande e indomita lavoratrice, che caccia da sola per nutrire i suoi piccoli mentre il maschio dorme, umiliata anche lei dall’abituale e ridicolo “leonessa”, al posto del più attualmente corretto “leona”.

 

Mi rimane qualche dubbio sui nomi in “ice”, come direttrice; meglio direttora o direttrice? Perché in tal caso si potrebbe suggerire anche “elefantrice” e “leonice”, che producono anche una piacevole assonanza con la parola “nutrice”, alludendo così a questa importante funzione della mammifera in generale. Credo che però “leona” sia migliore perché “leonice”, finché non riuscirà a imporsi nell’uso corrente, secondo me richiederebbe di essere scritto con l’accento: “leonìce”, da non confondersi con “lèonice”, non ancora esistente, ma chiaramente maschile: il “lèonice”. A questo punto però dobbiamo anche notare il fastidiosissimo “toro” e “mucca” per designare maschio e femmina dello stesso animale; non so se sia meglio riformare in il “toro” e la “tora” o nel “mucco” e la “mucca”, a mio giudizio molto meno fastidioso. Se fossi io presidente della Camera cercherei di imporre il “mucco” e la “mucca”.

 

Non ho dubbi invece su questa altra fastidiosa anomalia, il “montone” e la “pecora”, dove ovviamente il fastidio deriva nella parola “montone” da una presunta maschiezza latineggiante che in natura non esite per nulla, è una semplice funzione della creazione o dell’evoluzione, in cui il maschio della pecora viene progettato con la dovuta, diciamo così, ampiezza testicolare, per branchi che prevedono molti meno maschi che femmine e un conseguente impegnativo lavoro fecondativo per il maschio. Quindi, senza alcun dubbio, a mio giudizio è migliore il “pecoro” e la “pecora”. E visto che quello che ci si proponeva era iniziare a pensare alla riforma dei nomi dei nostri fratelli animali non umani, credo che qualche problema rimanga anche nel campo di noi, cioè degli animali umani in quanto animali, ossia l’uomo e la donna.

 

Dunque, si è detto il “mucco” e la “mucca”, e il “pecoro” e la “pecora” e quindi: l’“uomo” e la “uoma” o il “donno” e la “donna”? Si potrebbe pensare, in analogia con i casi precedenti, che sia migliore il “donno” e la “donna” e mi permetto di far notare che il gruppo “la uoma” è molto faticoso da pronunciare per la sequenza di a e uo, abbastanza disfonici. Però vorrei anche notare che “donna” mi sembra una contrazione di “domina”, cioè “padrona”, termine ancora in uso nelle pratiche sadomasochistiche, dove un presunto “servo” si rivolge a una presunta “padrona” o “domina” nella realizzazione di pratiche sessuali a piacere; e in secondo luogo, appunto mi permetto di sottolineare il significato “padrona”, che ci allontana dall’orizzonte di una piena parità tra i sessi. Quindi in questo caso suggerirei, nonostante tutto, la “uoma” e l’“uomo”.

 

Questo articolo è apparso sul Foglio lo scorso 26 ottobre 2016

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