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Il colloquio

All'università di Pisa si parla di genocidio. "Gli spazi di discussione vanno tutelati", dice il rettore

Giulia Casula

"Regime di apartheid” e “genocidio in potenza” sono alcune delle parole utilizzate dallo studente italo-palestinese Anas Khalil nel suo intervento all'inaugurazione dell'anno accademico. Ma il rettore Zucchi minimizza: "Non mi attaccherei al singolo termine"

“Dopo i fatti di Pisa l'intenzione del nostro ateneo era dimostrare che l'università fosse un luogo in cui poter esprimere la propria voce nel rispetto degli altri e del principio di non violenza”, così il rettore dell'università di Pisa Riccardo Zucchi ha spiegato al Foglio le ragioni che hanno motivato la scelta di far intervenire in occasione della cerimonia di inaugurazione dell'anno accedemico Anas Khalil, studente di medicina e figlio dell'imam della città Mohammad Khalil. Un'iniziativa per sottolineare l'importanza di mantenere spazi di discussione aperti agli studenti e un'opportunità per ribadire la gravità delle manganellate che tuttavia ha finito per trasformarsi in un comizio anti Israele.

“Pulizia etnica”, “regime di apartheid”, “genocidio in potenza”, “occupazione permanente” sono solo alcune delle espressioni con cui il giovane italo-palestinese ha imbastito il suo discorso in rappresentenza del collettivo studentesco Rompere l'Assedio. Parole dalla forte portata simbolica e cariche di un potenziale distorsivo ma che il rettore dell'ateneo pisano sembra considerare aspetti di importanza secondaria. “Io non mi attaccherei al singolo termine”, dice Zucchi. “Sarei stato più contento se lo studente avesse ricordato anche il 7 ottobre, ma temo che molti dei dati di fatto siano corretti”.

Si riferisce ai numeri forniti dal ministero della Sanità a Gaza, gestito da Hamas, e ampiamente citati da Khalil nel corso del suo intervento. “Nel giro di pochi mesi 406 scuole e università sono state rase al suolo, quasi quarantamila palestinesi sono stati uccisi, settantunomila sono stati feriti. Tutto questo per mano delle forze di occupazione israeliane”, aveva dichiarato lo studente palestinese di fronte all'uditorio presente per l'occasione. 

“Il punto di vista espresso non coincide con il mio”, ci tiene a precisare il rettore. “Noi abbiamo condannato esplicitamente le atrocità di Hamas, ma abbiamo ritenuto opportuno consentire a tutti quei gruppi che avevano presentato delle mozioni al senato accademico di prendere la parola durante la cerimonia di apertura dell'anno accademico. Di questi solo il collettivo 'Rompere l'assedio', che condivideva istanze simili a quelle degli studenti manganellati le scorse settimane, ha chiesto di intervenire”. Se fossero arrivate mozioni da studenti della comunità ebraica avrebbero certo dato la parola anche a loro, assicura il rettore. “Da parte mia non ci sono preconcetti ideologici né la volontà di privilegiare una tesi rispetto un'altra.”

Eppure, nessun accenno agli stupri e agli abusi sessuali perpetrati dai terroristi di Hamas durante gli attacchi del 7 ottobre e riconosciuti dall'Onu come “crimini di guerra” dopo che davanti all'Aula Magna dell'ateneo pisano lo studente ha ricordato “le condizioni disumane in cui sono costrette a sopravvivere le donne palestinesi, parte integrante della lotta per l'autodeterminazione dell'intero popolo nonostante siano state dimenticate dalla comunità internazionale”.

Ampio spazio ha trovato invece, la richiesta avanzata dal giovane laureando nei confronti dell'università di Pisa di “recedere dagli accordi con gli atenei israeliani” per evitare di “rimanere dalla parte sbagliata della storia”. Un punto su cui il rettore non tentenna e, pur lasciando la decisione nelle mani del senato accademico, si dice “contrario a simili forme di boicottaggio. D'altronde io penso che l'università debba creare dei ponti e non fossati", conclude Zucchi.

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