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La revisione

Perché la riapertura del processo sulla strage di Erba è un sintomo dell'incapacità di fare indagini

Redazione

Dopo il confronto tra le parti coinvolte, i giudici decideranno se respingere le richieste o accettare le nuove prove presentate dagli avvocati di Rosa e Olindo. Come Garlasco, Perugia e Avetrana, un ennesimo processo pasticciato

La Corte d'Appello di Brescia ha accettato il ricorso di Olindo Romano e Rosa Bazzi, condannati all'ergastolo per gli omicidi di Raffaella Castagna, il figlio Youssef Marzouk, la madre Paola Galli e la vicina di casa Valeria Cherubini. L'udienza decisiva per la revisione della condanna è fissata per il 1° marzo, giorno in cui i giudici valuteranno la richiesta presentata dagli avvocati dei due imputati e dal sostituto procuratore generale di Milano, Cuno Tarfusser.

La vicenda, passata alle cronache come strage di Erba, è solo l'ultimo caso in cui le istanze di revisione trovano una loro giustificazione nell'incapacità - tutta italiana - di fare indagini sul campo e di condurre i processi senza incorrere in errori. Garlasco, Perugia, Avetrana ricordano qualcosa? Anche Erba non fa eccezione, tra sviste e inesattezze da parte di pm e carabinieri che sono valse al nostro paese la riapertura di una nuova stagione del dubbio che tanto appassiona le cronache italiane. 

 

 

Dopo tre gradi di giudizio e una sentenza che condannò i due coniugi, a quasi 18 anni dalla mattanza che sconvolse il piccolo comune del comasco, la difesa di Olindo Romando e Rosa Bazzi punta su nuove prove e nuovi testimoni (o meglio, vecchi ma mai sentiti all'epoca dei fatti dai carabinieri), come l'uomo vicino ad Azouz Marzouk, che aveva riferito dei traffici di droga avvenuti nella casa della strage, riconducendo a una faida tra gruppi rivali le ragioni dell'omicidio. Un altro testimone citato dagli avvocati è "un ex carabiniere che riferisce delle indagini e delle parti mancanti del 50 per cento dei momenti topici delle intercettazioni", a cui si aggiunge la controversa testimonianza - resa tale dalla condotta degli investigatori - dell'unico sopravvissuto, Marco Frigerio, che identificò in Olindo il responsabile della strage solo in un secondo momento e in contrasto con la prima versione fornita ai carabinieri dal letto di ospedale. 

Anche l’unica prova scientifica rilevata nell’auto della coppia fu raccolta con procedure sbagliate e resa dunque inservibile. Per farla breve, la negligente gestione delle indagini da parte della procura di Como ha sollevato numerosi dubbi, portando i giudici della Corte d'appello di Brescia, seppur a fronte di una confessione, poi ritrattata, dei due coiniugi, ad accogliere il ricorso della difesa. Ma la decisione della Corte non dovrebbe stupire più di tanto. È insomma l'ennesimo caso di un processo pasticciato che accende la classica voglia italiana di rifare tutto, come scrisse qui il vicedirettore del Foglio Maurizio Crippa. 

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