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Un regno senza re

Il testamento di Berlusconi offre un'alternativa al metodo Agnelli e Del Vecchio

Stefano Cingolani

Un’eredità senza veri eredi: ecco la soluzione trovata dal Cav. per evitare dolorose liti giudiziarie: “Nessun soggetto deterrà il controllo solitario indiretto su Fininvest, precedentemente esercitato dal padre stesso”

Dopo di lui non c’è il diluvio, no davvero, ma Silvio Berlusconi lascia un regno senza re. Ha fatto così in politica, lo ha ripetuto per gli affari di famiglia, coerente con se stesso. In politica non ha trovato nessuno che abbia il quid, o meglio il suo quid. Per la Fininvest non è esattamente la stessa cosa: Marina e Pier Silvio avranno il 53 per cento (oltre al 60 per cento delle altre proprietà); sono dunque i figli della prima moglie Carla Dall’Oglio a contare di più in famiglia, i figli di Veronica Lario resteranno azionisti rilevanti, ma dovranno seguire la propria strada. In ogni caso, per volontà espressa, “nessun soggetto deterrà il controllo solitario indiretto su Fininvest, precedentemente esercitato dal padre stesso”, come hanno fatto sapere gli eredi. Il Cavaliere ha donato anche 100 milioni al fratello Paolo e 100 a Marta Fascina. Per l’amico Marcello Dell’Utri un lascito di 30 milioni “per il bene che gli ho voluto e per quello che loro hanno voluto a me”. Nell’ultimo dei tre testamenti, quello vergato il 19 gennaio 2022, anche una lettera vergata a mano con la sua calligrafia a un tempo ampia e puntuta: “Sto andando al San Raffaele, se non dovessi tornare vi prego di prendere atto di quanto segue”, ha scritto indicando anche le donazioni per concludere: “Grazie, tanto amore a tutti voi, il vostro papà”.

Berlusconi diceva di ammirare talmente Gianni Agnelli da tenere una sua foto sul comodino. Tuttavia voleva evitare le dolorose liti giudiziarie che ancora lacerano la più importante famiglia del capitalismo italiano. Così, aveva diviso con attenzione le quote della cassaforte. A lui, tramite le Holding Italiana Prima, Seconda, Terza, e Ottava, faceva capo poco più del 61 per cento di Fininvest che, a sua volta, possiede oltre il 53 per cento di Mondadori, il 50 circa di Mediaset (oggi Mfe-MediaForEurope) e il 30 di Banca Mediolanum. Il restante 40 per cento circa era suddiviso tra i figli: la primogenita Marina aveva il 7,65 per cento di Fininvest attraverso Holding Italiana Quarta, il 7,65 per cento era di Pier Silvio con la Holding Italiana Quinta, mentre un altro 21 per cento era dentro H14, la holding partecipata pariteticamente dai tre figli avuti con Veronica Lario: Barbara, Eleonora, Luigi. Ora la distribuzione di quel 61 per cento porta a privilegiare i suoi due figli maggiori. Entrambi. Il Cavaliere non ha seguìto l’Avvocato che aveva scelto John Elkann come successore, leader indiscutibile e timoniere del più vasto impero del capitalismo italiano. Berlusconi non ha imitato nemmeno Leonardo Del Vecchio che ha privilegiato il suo uomo di fiducia, Francesco Milleri, al quale ha lasciato la guida di un gruppo da 80 miliardi di euro o giù di lì e l’amministrazione di Essilor Luxottica che da sola vale 26 miliardi di euro. Nessun “controllo solitario”, né figlia o figlio, né nipote, né manager, nemmeno Fedele Confalonieri che gli è stato vicino fin da quando lo accompagnava al piano durante le crociere giovanili. 

Certo, Marina e Pier Silvio vanno d’amore e d’accordo. Lei sta gestendo bene la Mondadori, diventata un arcipelago dei libri con Rizzoli, Einaudi e tutte le altre case editrici. Lui ha trovato più inciampi, non ha funzionato la tv on demand, ha in casa Vincent Bolloré, secondo azionista di Mediaset e dovrà guardarsi da nuove scalate. In una intervista oltre a escludere “per ora” una sua discesa in politica, ha ribadito la volontà di non mollare: “Sono il figlio di mio padre”, ha rivendicato con orgoglio. Ma deve affrontare la “distruzione creatrice” provocata dall’impatto di internet sul complesso mondo dell’informazione e dell’intrattenimento. Qui si gioca il futuro della televisione, ancor più di quella privata che non può godere del canone (non ancora). La terza provincia del regno, oggi la più ricca, è Banca Mediolanum che è nelle mani di Massimo Doris, figlio di Ennio, il fondatore. Marina e Pier Silvio, dunque, dovranno procedere insieme, calibrare le strategie future e gli investimenti di un patrimonio che ammonta grosso modo a tre miliardi di euro. Tuttavia resta un senso di vuoto, abituati come eravamo a un leaderismo a tutto campo fino al culto del capo. Berlusconi era il primus, ma senza pari, in politica aveva consumato uno dopo l’altro i potenziali candidati alla successione, liquidati i “professori” della “rivoluzione liberale” era finita male con Gianfranco Fini per troppo quid e ancor peggio con Angelino Alfano per mancanza di quid. Aveva creato un partito azienda con la logica dell’uomo solo al comando. Ora il partito è troppo piccolo e l’azienda troppo grande, però ci sarà bisogno comunque di una leadership chiara.

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