Luigi Berlusconi Foto LaPresse 

Il Foglio Weekend

Luigi Berlusconi, il terzo re di Arcore

Michele Masneri

Dopo Pier Silvio e Marina c'è lui: "il Pretino", sa come far soldi e ha già messo su un impero. Ritratto del “minore” che incarna un capitalismo dirazzato, tra Steiner e Cuccia

Ne ha fatta di strada, il pretino. Il pretino, così lo chiamava, Silvio Berlusconi, il suo ultimo figlio, il piccolo di casa, Luigi. Lo raccontò lui stesso, in tv, a Paolo Bonolis (2006): “Telefono, chiedo di Luigi e mi dicono di richiamare dopo cinque minuti perché è raccolto in preghiera. Richiamo e mi dicono che è ancora raccolto in preghiera. Sbotto: ma allora sta dicendo messa!”. Il pretino è nato come tutti i figli di Veronica in Svizzera, ad Arlesheim, nel cantone di Basilea, nella  “clinica antroposofica di Arlesheim”. 


(Rudolf  Steiner ha un gran ruolo in questa storia, si vedrà tra poco). Riservatezza totale, sito solo in tedesco, alla clinica, e la riservatezza è il segno di questo personaggio che ha fatto della privatezza una specie di brand. Il pretino, nato il 27 settembre 1988, dev’essere l’unico trentenne a Milano a non avere un profilo instagram e anche mercoledì secondo la regia Mediaset nella colossale kermesse funeraria in Duomo è stato risparmiato spesso e volentieri dalle telecamere di famiglia  (non come la madre Veronica, che tanti si chiedevano addirittura se fosse presente, completamente oscurata dalla diretta, ma abbastanza). Nelle foto obbligatorie, è l’uomo in grigio chiaro, colore minore e raro tra lo stormire dei blu Mediaset e dei neri e canna di fucile dello Stato. Niente in comune neanche col fratello più grande, il jeans con cuciture di Pier Silvio, lui no, lui è in grigio come un buon borghese, come un  banchiere, quello che è (banchiere non svizzero ma milanese, come del resto il nonno, Luigi, che si chiamava come lui. Da bancario a banchiere, un bel salto, ma anche un bel ritorno alle origini).

 

Il pretino frequenta l’Ordine di Malta, con cui va spesso a Lourdes a portare aiuto agli ammalati ma sotto falso nome, intorno gli hanno creato un diaframma di protezione, raccontarono al Foglio dall’Ordine. Non si sa se usi il cognome materno (Bartolini) come per creare la Fondazione Opsis Onlus che finanzia diversi progetti sociali (recupero ragazzi con storie difficili, ma “non siamo autorizzati a rivelare altro”, vabbè). Il pretino si è sposato con Federica Fumagalli, dalla quale ha avuto due bambini,   Emanuele Silvio, nato nel 2021, e  Tommaso Fabio nel 2022. La moglie è una perfetta Kate Middleton brianzola; arrivata in anticipo in Duomo l’altro giorno, sedeva perfetta in secondo banco, in nero, sobria, immota. A Luigino si conosce una precedente relazione con la figlia di Giulia Ligresti, tale Ginevra Rossini, durata quattro anni. Rossini ha un Instagram più “rich kids” e sarà un caso ma  la scelta definitiva della consorte è ancora una volta improntata all’understatement. L’amore con Federica Fumagalli (“la Fede”) è scoppiato alla Bocconi dove lui faceva economia e lei giurisprudenza. Poi le nozze, anche qui in riservatezza totale: come raccontano al Foglio, a Sant’Ambrogio, ma mica nella basilica, no, nella chiesina di San Sigismondo, “un gioiello nascosto, molto milanese, anche santambroeus ha la sua corte, con le originali colonne della basilica ambrosiana del Quarto secolo, nel cuore del cortile di donato Bramante”.

 

A sposarli, un padre domenicano di Santa Maria delle Grazie (che adesso vivrà sotto falsa identità in Sudamerica, si immagina). Lei è figlia di un piccolo imprenditore tessile di Sirone, deep Brianza, provincia di Lecco. Chiamo il Giornale di Lecco, “non sappiamo niente”: chiamo MerateOnLine, “i genitori hanno la BluBuk Diffusion, un import di capi di abbigliamento che poi rivendono alla grande distribuzione, a Castello Brianza”, mi dice una collaboratrice che preferisce restare anonima (in questa storia pure i giornalisti preferiscono restare anonimi). “Quando è iniziata la relazione con Luigi ce ne siamo accorti perché sa, Sirone ha duemila anime, son cominciate ad arrivare delle macchine grosse”. 
 

"La Fede" lavora. La Fede cinque anni fa ha fondato a Milano la MB Projects, che si occupa di eventi e comunicazione per brand di lusso – racconta il suo socio Manuel Bogliolo al Foglio: Dior Beauty, Furla, Dom Perignon. Eventi, promozione social. “Siamo una boutique, dodici dipendenti, e noi due fondatori”. “Con Federica ci siamo conosciuti in vacanza ad Alassio insieme ad altri amici anni fa”, racconta e la descrive come “semplice, ancora più riservata del marito, super easy”, con lessico milanenglish. Butto lì: sarà di sinistra? “Non direi, no, e poi qui non parliamo di politica”, dice l’imprenditore. “Viene da una famiglia molto unita, è figlia unica, molto per bene”. Come arriva in ufficio? “E che ne so, io? Verrà forse a piedi”, dice giustamente. L’agenzia sta in Arco della Pace, i due giovani Berlusconi vivono da anni in zona Magenta. Prima in via Vincenzo Monti, poi davanti a Santa Maria delle Grazie, mi spiegano altri esperti. Poiché l’appartenenza milanese è anche di pasticceria, gli esperti segnalano che si può trovare Luigino da Leonardo in via Saffi, la mattina, molto presto, per dei cornetti, pardon, brioche, riflessivi (ma un tempo, quando era ancora scapolo, le foglianti lo adocchiavano pure in via Ariberto dove aveva un ufficio, e comprava la pasta fresca dal famoso pastaio di via Ausonio, con scorta discreta, “gentilissimo”). Andate ancora ad Alassio, in vacanza? “No, più in Sardegna”, racconta Bogliolo, ma anche lì pochissime apparizioni e un Instagram al minimo sindacale. Poi Bogliolo si agita, richiama, “per favore, non faccia il mio nome!”. Ma ha solo detto che andavate ad Alassio, non è penale. Questa cosa della riservatezza vi sta prendendo un po’ la mano. 

 

Cose più serie, il mattone. “La Fede” dicono sia molto occupata a seguire l’interminabile restauro della villa di via Rovani. E’ la prima casa che il Cav. si prese a Milano, stradina tutta glicini e altissime borghesie dalla parte di Cadorna, tra il villone con le facce della famiglia Sforza neorinascimentali. Lì andrà il pretino con la sua stirpe. Villa e bottega, come ha sempre fatto il Cav., fu la prima sede della Fininvest, acquistata dal conte Senatore (di nome) Borletti, fondatore della Rinascente, uno degli uber-cumenda che fecero lo splendore di Milano. Oggetto di pellegrinaggio anche in questi giorni da parte del Tg5 a reti unificate, tra i “luoghi simbolici di Berlusconi”, meglio del Fai. Quando Berlusconi si spostò a villa San Martino ad Arcore questa è rimasta una sorta di dépendance.  “Nella storia berlusconiana questo è un posto fondamentale e a lui carissimo”, recita la voce dell’asienda tipo istituto Luce. Adesso da anni è in defatigante ristrutturazione diretta appunto da Fumagalli. “Fuori è rimasta uguale ma dentro l’hanno svuotata completamente”, dice una vicina. E passandoci nel caldo di una giornata estiva, è tutto un cantiere, detriti, betoniere, chissà se avran preso i superbonus.  Qui sono nati i fasti berlusconiani, qui c’era l’infilata di stanze e salotti e il Canaletto con cui Berlusconi imbambolava i clienti. “Ti faceva accomodare in una stanza poi in un’altra e poi in un’altra ancora e infine lì, sotto il Canaletto”, ci raccontò Enrico Vanzina. Anche Clemente Mimun ha raccontato in questi giorni: la segretaria Marinella Brambilla faceva accomodare gli ospiti sotto il Canaletto.  Non si sa che fine abbia fatto quel Canaletto, ah se potesse parlare il Canaletto, ma Brambilla intanto è stata recuperata. La storica segretaria del padre, che era andata in pensione, segretaria silente, tipo signora Enea di Andreotti, è stata ripescata dal Luigino, anche qui un segnale di qualcosa o forse di niente, di sicuro una continuità sul tratto più discreto, andreottiano, quello meno Mediaset: tanto più che Brambilla non è operativa, è più una testimonianza d’affetto, un simbolo.

 

Ma il destino del pretino è stato forgiato altrove. Il pretino felice è stato allevato a terra, come i Re, in campagna. A Macherio, altra villa, comprata negli anni Ottanta  all’epoca dell’amore totale tra Silvio e Veronica. Lì, amore e orto biodinamico. L’architetto Patrizia Pozzi che restaurò villa e giardino oggi non ha voglia di parlare, “tutto è stato strumentalizzato in passato”, mi dice al telefono, vale quello che raccontò nel 2010, sull’orto biodinamico di Veronica, l’idillio rustico in cui son venuti su Eleonora, Barbara e Luigi. I parchi sterminati con le caprette e Veronica scalza, “che non vive il giardino da sciura”, piuttosto “a piedi nudi va a raccogliere funghi e castagne e sceglie fiori di sambuco per le decorazioni delle torte”. Luigino è cresciuto così, tra feste da Albero degli zoccoli “perché era stato finalmente completato il tetto e non pioveva più dentro, organizzammo una grigliata nelle vecchie stalle invitando tutti i fornitori. Ognuno portò un piatto o una bottiglia. Si ballò fino a notte fonda al lume delle candele”.

 

I tre fratelli continuano a passare gran parte del tempo lì – tutti gli spazi nell’epopea berlusconiana non sono come quelli nostri comuni mortali, sono colossali case, con staff di decine di persone e –  gli staff comparivano qua e là nei necrologi di questi giorni - in armonia.   Base della Conoscenza per Steiner è la comprensione dell’uomo nel suo essere tripartito, “corpo anima e spirito” e qui regna l’armonia tra caprette, dividendi ed eliporti. Siamo di nuovo al filosofo svizzero, che predicava un mondo più sano, e la crescita dei fanciulli in mezzo alla natura. I più giovani non si ricordano, ma agli albori del berlusconismo fece scalpore che la first lady d’Italia, o almeno di Macherio, Veronica Lario, mandasse i figli a scuola dagli steineriani, invece che al San Carlo o nelle scuole del generone milanese. Mentre il Cav. disseminava l’Italia di Dynasty e Dallas la moglie impediva alla prole la visione della tv. Ne sorse una questione, uno scontro di civiltà, l’Italia degli anni Ottanta usciva dalla pastorizia e lei ci voleva rientrare, con caprette e tutto. E senza i compiti a casa. Servì per tranquillizzare la città una mediazione  di Giulia Maria Crespi, prima signora milanese, dinamica prima ancora che biodinamica. Nacque anche un piccolo sotto-romanzo di formazione. A un certo punto, sull’onda del Cav., tutti nel mondo televisivo milanese presero a mandare i bambini dagli steineriani. Anche i quattro figli di Marcello Dell’Utri, ma Luigino fu proprio folgorato, in particolare da un maestro, il maestro Andrea Scicchitani, lunga barba e ancor più lunga sapienza, che è stato il suo guru e la sua figura di riferimento nell’adolescenza. Scicchitani è mancato da poco e qualcuno ricorda un Luigino Berlusconi commosso cantare al funerale, partecipe, come del resto al funerale del padre. 

 

Ma ai tempi del maestro Andrea, raccontano al Foglio, dalla scuola steineriana originale ne era germogliata una seconda, ancora più estrema, anche geograficamente, molto aiutata da Veronica, in via Pini, a Lambrate. E quella è stata la Harvard di Luigino. E allora vado, a via Pini, alla “libera scuola steineriana”, nella caldazza, tra distributori e la stazioncina, e immigrati in bici: un basso casermone, una specie di deposito merci, escono alunni, ecco maestre, quando pronuncio le parole “Berlusconi” e “giornalista” nella stessa frase leggo il dramma nei loro occhi. Nessuno si ricorda del Luigino, son passati tanti anni, il direttore non c’è, si sta facendo il doposcuola estivo, “i più piccoli vivranno il gioco libero e creativo, il racconto di fiabe, la ceramica, la preparazione di pane e biscotti”, recita il volantino. Immaginiamoci qui il rampollo d’Italia che arriva con la scorta al mattino, pronto a impastare i biscotti. C’è chi si inizia a drogare per molto meno. Ma i traumi son stati assorbiti.  Il pretino sembra avere il destino di quei figli ultimi, che senza pressioni, coi genitori vecchi o stanchi o soddisfatti, crescono più leggeri e capiscono prima e meglio cosa vogliono essere. Un altro frutto dello steinerismo biscionesco è Chiara Dell’Utri, che ha dirazzato, facendo il medico in Germania, non ribellandosi ma neanche volendo continuare percorsi e costellazioni famigliari.  


Il misto di steinerismo e berlusconismo aveva creato in casa e in Milano e in tutta la Brianza timori per deformazioni e diseducazioni sentimentali. Invece come sempre ecco l’eterogenesi dei fini. Ne venne fuori un capitalismo diverso, un dirazzare molto interessante, understatement da paesi nordici. Dall’orto biodinamico  (con uso di elicottero), le uova del biscione han dischiuso  non un nuovo Carlin Petrini bensì un piccolo Enrico Cuccia. Sì perché il pretino, in grigio, niente frizzi e lazzi, fa tutto il suo cursus honorum, Bocconi e JP Morgan in incognito, poi nella Sator di Matteo Arpe, poi prende in mano (col suo posto in cda di Mediolanum) i soldi di famiglia, ma né li distribuisce ai poveri, né li spende in sciabolate di champagne e canotti a Formentera e modelle con labbra a canotto. 

 

No, li fa fruttare, in silenzio. E alla grande. “E’ stimatissimo a livello italiano e internazionale come finanziere”, mi racconta un collega. E non è la solita frase di circostanza per un rampollo. Oltre all’ovvia liquidità, è come se chiamarsi Berlusconi per lui fosse a questo punto  ininfluente. Ha preso la holding Quattordicesima, come si chiama il “pezzo” di Fininvest che spetta a lui insieme a Barbara ed Eleonora, che vale il 21 per cento dell’azienda, da cui arrivano i dividendi. Ma mica sta lì a mungere le cedole, no, ha modernizzato e trasformato la Quattordicesima a partire dal nome, “H14”, che da cassafortina di figli di papà è diventata “il più importante family office italiano che investe in startup”.  Dalla sua sede di piazza Borromeo, “H14” ha piazzato investimenti in Deliveroo, Flixbus e altre aziende innovative, con ritorni oltre il 20 per cento, insomma ha fatto più soldi da solo rispetto a quelli ereditati  (400 milioni contro 250).

 

E’ amministratore unico della società B Cinque S.r.l.,società creata da tutti i figli del Cav. per rilevare insieme quote di aziende innovative, quindi investe anche per tutti i  fratelli. Ha comprato e rivenduto il portale Facile.it con una plusvalenza di 20 milioni, e altre operazioni che nel silenzio della holding ricongiungono il pretino con tutto un mondo antico per Milano ma inedito per Mediaset. In passato ha fatto affari anche con Marco Carrai, il piccolo Soros di Matteo Renzi, cosa che portava a credere anche lì a possibili scenari politici, ma senza costrutto. Si cade nel solito equivoco, riecco un Giovannino Agnelli, “riserva della repubblica” come ai tempi dello sfortunato rampollo, educato in America, risorsa democratica per Walter Veltroni. Rampolli illuminati che qualcuno immagina interessati alla politica e alla lusinga romana e in questi giorni vorrebbe addirittura un Luigino pronto a rilevare l’eredità politica del padre. Ma Luigi è un finanziere puro. E puro deve rimanere. In tutti i sensi.  In questi giorni qualcuno si spinge a pensare che sia lui il continuatore dell’attività politica di famiglia. “Ipotesi totalmente senza senso”, dice al Foglio un finanziere che lo conosce bene. “Per la sua storia, per il suo modo di essere, per il suo carattere introverso e introspettivo”.

 

Non particolarmente interessato alla politica, anzi, lo descrivono, rispettoso della storia di famiglia, certo, innamorato come tutti quei figli lì del padre e pure della madre, essendo frutto dell’amore bio. La leadership, Luigino ce l’ha ma è finanziaria, quella sì. E qui siamo più in zona Umberto che non Giovannino Agnelli. Tra tutti i figli è quello che ha ereditato dal papà oltre la faccia e il fisico anche la capacità di far soldi.  “Giù le mani dal Luigino”, rispondono tutti, gli avvocati d’affari e i finanzieri milanesi, venture capital e private equity, in questi giorni tutti presi a presentare fondi di investimento. Che fai domani? “Lancio il mio fondo”. A Milano ci sono più presentazioni di fondi che di libri.  “Lasciatelo in pace!”, dicono, i fondi e i loro presentatori. Intendendo: via i giornalisti e via la politica. Come a voler preservare una purezza e una diversità. Diversità dalla famiglia e dal brand Berlusconi, che non è mai stato dopotutto un vero brand milanese: più brianzolo, o nazionale, certo nazionalpopolare, il berlusconesimo, tra Cologno e  Napoli, lo si è detto già. Luigino,  invece, è più Milano centro, più finanza, più calvinismo, discrezione, grisaglia, un piccolo Cuccia, appunto, in questo la città chiude il cerchio coi Berlusconi, lo riconosce come “suo”, ci si specchia, anche nella generosa umanità che non è facciata. 


Abate Parini, o abate Tovini, comunque rito ambrosiano. “Il pretino”, cresciuto per  nemesi in quella famiglia molto dedita al vivere e alle feste, come ha ricordato mons. Delpini, ma anche ripescando e ricicciando tracce di Dna nel côté suoresco, quello delle zie, le tante zie suore della famiglia  che il Cav. evocava sempre. Qui però niente vocazioni, semmai un’attitudine, cuccesca: anche mercoledì al funerale era lì, l’uomo in grigio, un po’ Lebole, con la sua “Fede”, composta, in nero, seria, in attesa. Understatement: lui nel tempo libero esce con “il maestro di Ju Jitsu e gli amici di Monza”, raccontano, o non esce affatto, magari si diverte di più a Londra o New York dove non è conosciuto. Non è che sia un francescano, eh. La flotta aerea biscionesca la usa volentieri, come le residenze, però  se uno lo incontrasse in qualche terminal privato potrebbe pensarlo un giovane managerino magari americano come i tanti che ormai affollano Milano, avendo abbandonato Londra e le Brexit. Molto “healthy”, appassionato del mangiar sano, senza frizzi e lazzi. Lei, “La Fede”, la Middleton di Brianza, un po’ più aspirazionale, raccontano, nella sua uniforme eterna di leggings scuri e Nike Jordan (ma in edizioni limitate da 800 euro in su), sopra una t-shirt, una Birkin da fare invidia a qualsiasi borsa di una qualunque neo mamma, pochissimi loghi, e una piega dei capelli (anche alle 9 di mattina) impeccabile.

 

Basso profilo ma inevitabili cortocircuiti, quando “la Fede è appena atterrata ad Olbia (ovviamente in privato), starà con il bimbo a Villa Certosa un mesetto perché l’afa di Milano non è più tollerabile”, racconta un amico. Né di destra né di sinistra, allergica però al trash televisivo e in particolare ai vari GF. Solida. Commenti di altri amici: “la Fede si è presa l’unico Berlusconi veramente bono e veramente etero” (del resto, la vera famiglia queer l’ha fondata il Cav., altro che Michela Murgia!). E qui si entra nei gossip sul pretino, sogno di dame e cavalieri, palestrato con juicio. Ci sono scatti d’epoca di lui su “Oggi”, in cui “bacia un amico per far dispetto a lei”, recita la dida di questi servizi.  "Ora che lo hanno beccato a baciare un amico, anche per Luigi Berlusconi la notorietà comincia a creare grattacapi”, scrisse a un certo punto Dagospia. “Non solo il suo fratellastro Piersilvio, durante una riunione a Mediaset, lo avrebbe preso in giro con dei manager tv. Ma la cosa ha fatto incazzare di brutto papà Silvio. Pare che abbia addirittura telefonato a Veronica Lario con la quale non si parlava da quattro mesi". Mah. Tra gli investimenti di Luigino, anche il social di appuntamenti gay israeliano Grindr. Ma sembrano soprattutto wishful thinking, perché il pretino fa gola a tutti, è il più bello dei Berlusca, assomiglia tantissimo al Silvio muscolare degli esordi tra l’altro. Ma è alto. E’ uno dei pochi maschi in circolazione in Italia con molti dividendi e senza tatuaggi (tranne uno piccolo, dietro la nuca). E poi liquido, talmente liquido che se fosse anche un po’ fluido nessuno si preoccuperebbe. Al massimo, daranno la colpa a Steiner. 

  • Michele Masneri
  • Michele Masneri (1974) è nato a Brescia e vive prevalentemente a Roma. Scrive di cultura, design e altro sul Foglio. I suoi ultimi libri sono “Steve Jobs non abita più qui”, una raccolta di reportage dalla Silicon Valley e dalla California nell’èra Trump (Adelphi, 2020) e il saggio-biografia “Stile Alberto”, attorno alla figura di Alberto Arbasino, per Quodlibet (2021).