La sala operativa del Mose a Venezia (Ansa)

A Venezia

Una diga anti cialtroneria. Il successo del Mose è uno schiaffo alla cultura del No

Claudio Cerasa

Il sistema di paratie mobili che ieri ha protetto la laguna dall'acqua alta offrono qualche lezione utile per capire come combattere l’ambientalismoideologico, quello convinto che per proteggere l’ambiente il modo migliore sia solo difendere lo status quo

Sono le 9.40 quando Venezia si ritrova di fronte a un numero potenzialmente spaventoso: 170 centimetri. I centimetri in questione coincidono con il livello del mare più alto registrato nella giornata di ieri, giornata di piogge, vento e alta marea, e sono grosso modo gli stessi centimetri di acqua alta raggiunti il 12 novembre del 2019: all’epoca furono 187, quando l’acqua a Venezia, di fronte alla laguna, toccò il livello più elevato raggiunto da un’alluvione più famosa, quella del 1966, quando Venezia registrò uno degli allagamenti più importanti della sua storia recente. La differenza tra il novembre del 2019 e il novembre del 2022 avrete già capito qual è: il Mose, la formidabile diga costruita per proteggere Venezia tanto dalle alte maree quanto dalle stupidità ambientaliste. Grazie al Mose, ieri, i centri abitati, pioggia a parte, sono rimasti all’asciutto e non si sono ritrovati di fronte alla catastrofe del 2019, quando l’acqua alta, oltre che uccidere una persona, causò danni superiori ai 150 milioni di euro. La storia del Mose è una straordinaria storia di ingegneria, certo, è una grande storia di orgoglio italiano, ovvio, è una grande vetrina sulle potenzialità tecnologiche del nostro paese, chiaro. Ma è anche una storia al centro della quale vi sono elementi ulteriori da mettere a fuoco che ci permettono di intravedere dietro alla grande diga veneziana alcune lezioni importanti dal punto di vista culturale oltre che da quello ingegneristico.

 

La storia del Mose ci dice che convivere con la catastrofe dell’acqua alta è possibile (pensiamo ai Paesi Bassi). Ma ci dice anche che l’ambiente non è sempre benigno, che l’uomo non è sempre maligno e che le conseguenze generate dalle trasformazioni climatiche possono essere governate anche senza isteria, facendo leva sulla grandiosa capacità di adattamento dell’uomo. La storia del Mose, da questo punto di vista, rappresenta una lezione importante per tutti coloro che sostengono che il modo migliore per salvaguardare l’ambiente sia non toccarlo, sia lasciarlo lì com’è, sia allontanarlo il più possibile dalle diaboliche mani dell’essere umano. Ma è una lezione importante anche per altre ragioni.

 

Innanzitutto, per coloro che negli anni hanno tentato di dimostrare che, rispetto alla difesa dell’ambiente, fosse lo status quo l’unica forma di legalità consentita (il No Mose, per un certo periodo, è stato uno dei tanti no che componevano l’allegra e spesso trasversale sinfonia del Nimby: No Tav, No Triv, No Tap, No Ilva, No Mose, No Vax,  No termovalorizzatori). E’ una grande lezione per tutti coloro che negli anni, quando la costruzione del Mose è stata al centro di un’inchiesta legata a fenomeni corruttivi, hanno tentato di buttare il bambino insieme con l’acqua sporca (è da circa vent’anni che la Cacciari Associati sostiene che il Mose sia una boiata pazzesca). E’ una grande lezione per tutti gli ambientalisti che negli ultimi anni, rispetto alla sfida del Mose, hanno combattuto battaglie non contro lo stato inefficiente ma contro le imprese che facevano parte del consorzio (preoccupandosi più di difendere la propria ideologia che le bellezze veneziane).

 

Ed è una grande lezione, infine, anche per tutti coloro che negli anni hanno chiuso gli occhi di fronte a una grande evidenza che coincide con il vero e spesso inconfessabile peccato originale del Mose. Un peccato che, come abbiamo già avuto modo di ricordare, non ha riguardato, negli anni, la presenza, nel consorzio che ha dato  vita al Mose, di privati senza scrupoli pronti a trasformare la grande opera in una gigantesca mangiatoia, ma che ha riguardato, in buona sostanza, la presenza di alcune leggi farraginose che hanno permesso allo stato di concedere senza alcuna gara a un piccolo numero di imprese il monopolio dei lavori (secondo alcune stime i maggiori costi dovuti al peccato originale di aver affidato i lavori in monopolio ammontavano già all’epoca a oltre due miliardi di euro). Tecnologia. Innovazione. Equilibrio nel rapporto tra stato e privati. Capacità di adattamento dell’uomo rispetto alle problematiche climatiche. Le dighe del Mose, ieri, hanno protetto Venezia dall’alta marea. Ma quando la marea si sarà abbassata aiuteranno Venezia, e forse anche l’Italia, a proteggersi da un’altra marea pericolosa: quella formata dalle stupidità tossiche dell’ambientalismo ideologico, convinto che per proteggere l’ambiente il modo migliore sia semplicemente non toccarlo.

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  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.