I grandi “maestri” della Protezione civile
Nell’emergenza il “direttore d’orchestra” non deve risentire delle pressioni politiche. Dall’Irpinia alla gestione pandemica
Quando vent’anni fa fui chiamato da Bertolaso alla Protezione civile nazionale provenivo da altrettanti anni di lavoro nei cosiddetti paesi in via di sviluppo dove avevo imparato a conoscere, fra gli altri, il drammatico termine “coordinamento”, uno dei vocaboli più usati e abusati nel linguaggio onusiano dato che il mantra della capacità di coordinare un intervento su scala planetaria viene costantemente invocato, quasi sempre con scarso successo, dalle agenzie delle Nazioni Unite.
Entrando nel mondo della Protezione civile nazionale mi scontrai con alcuni punti di riferimento obbligati, nel nuovo mondo che avrei dovuto conoscere rapidamente e che si chiamavano: Irpinia, Vermicino e Zamberletti.
Irpinia e Vermicino stavano a indicare due interventi del sistema nazionale dei soccorsi decisamente fallimentari; il primo un devastante terremoto con migliaia di vittime e feriti che vide il paese in una affannosa e fallimentare rincorsa agli aiuti; e il secondo la tragedia della morte, trasmessa in diretta tv, di un bimbo di sei anni, Alfredino Rampi, caduto accidentalmente in un pozzo artesiano. Una incredibile vicenda che vide il paese intero inchiodato alla tv partecipe del dramma dell’agonia di un bimbo che nessuno riusciva a recuperare dal pozzo ove era caduto.
Le due vicende furono oggetto della sofferta visita del compianto presidente Sandro Pertini che nelle due situazioni fu testimone della totale disorganizzazione delle nostre strutture destinate al coordinamento dei soccorsi.
Da lì nasce la figura dell’on. Zamberletti, che ebbe l’intuizione di organizzare un sistema sovraministeriale a cui delegare la competenza del coordinamento delle già importanti risorse umane e materiali disponibili nel paese. Il “padre della Protezione civile italiana”, così ricordiamo Giuseppe Zamberletti, impiegò qualche anno per creare le premesse di un sistema nazionale che avesse la capacità di svolgere adeguatamente le funzioni previste e cioè mettere a regime e far coesistere nel modo più funzionale possibile le importanti risorse del sistema, a partire dai Vigili del fuoco per arrivare al sistema sanitario, alle forze dell’ordine e ai militari e non ultimo allo straordinario e variegato mondo del volontariato nazionale di protezione civile.
Dalla lezione e dalla storia politica di Zamberletti, e usando una metafora musicale, ci piace dire che abbiamo ben compreso che ogni strumento ha il suo ruolo nella creazione di uno spartito che sappia essere armonico e quindi gradevole. Ovviamente si dà per scontato che il direttore d’orchestra sappia giocare il ruolo che gli compete, in caso contrario gli strumenti produrranno una cacofonica esibizione musicale assolutamente inascoltabile.
Un buon “protettore civile” conosce a memoria le vicende irpine e il dramma di Alfredino perché da quei due disastri nasce la cultura dell’organizzazione e l’importanza del coordinamento delle risorse per poter giungere a risultati soddisfacenti. Argomenti trattati con ossessiva cura e attenzione in ogni momento della preparazione alla gestione delle crisi. E in effetti quelle lezioni sono servite ai vari capi dipartimento che si sono succeduti negli anni.
La mia esperienza con Bertolaso fu decisamente positiva se penso alle numerose operazioni svolte a livello nazionale e internazionale dove il ruolo, l’autorevolezza e la capacità del “direttore d’orchestra” della Protezione civile italiana era riconosciuto universalmente e nessuno avrebbe nemmeno osato introdursi e mettere in discussione quel ruolo.
Negli anni successivi alcuni tentativi di intrusione si sono visti e hanno dato risultati non sempre incoraggianti. Sino ad arrivare alla gestione del Covid-19, dove il “direttore d’orchestra” per legge incaricato di coordinare gli strumenti impiegati nell’opera è stato doppiamente commissariato da un politico, il ministro Boccia, e da un tecnico, il dottor Arcuri. Il ruolo conosciuto di leader indiscusso della gestione dell’emergenza che detta i tempi e l’uso degli strumenti è stato così sfumato, lasciando spazio a interpretazioni e interferenze di varia natura, soprattutto del mondo della politica, centrale e del territorio. Interferenze che hanno fatto più guai che apportato soluzioni nel governo di una disastrosa emergenza come quella vissuta a causa del Sars-Cov-2.
L’anarchia decisionale da parte di molti politici del territorio che abbiamo visto in settori strategici delle relazioni sociali quali la sanità, la scuola, i trasporti è stata eloquente, sostanzialmente il risultato dell’assenza di una forte leadership tecnica che avrebbe dovuto affiancare la politica orientandola nel momento decisionale e non essendo succube di quel potere.
La nomina del generale Figliuolo ha indubbiamente messo a regime il complicato sistema di organizzazione della campagna vaccinale, mettendo in campo la poderosa e perfetta macchina organizzativa della Difesa, con risultati più che lodevoli. Ma lo stesso generale soffre oggi di una strutturale debolezza tecnico-scientifica dovendo dipendere, nella definizione della sua “strategia di combattimento”, dagli orientamenti del ministero della Salute, dal Comitato tecnico-scientifico, da Aifa ed Ema, cui ci si deve riferire soprattutto per le indicazioni relative all’uso dei vaccini, e last but not least dalla politica centrale e del territorio.
In questo complesso e articolato sistema relazionale al generale Figliuolo non è stata data la responsabilità organizzativa complessiva, il ruolo di coordinatore unico dell’emergenza Covid-19, ai sensi della normativa vigente. Figliuolo deve condividere quel ruolo con altri, e l’esperienza insegna che in emergenza, la condivisione del ruolo di coordinamento è propedeutica solo alla generazione dei problemi non alla loro soluzione.
Questo si è visto ad esempio nella disastrosa comunicazione relativa all’uso di AstraZeneca, che ha obbligato lo stesso presidente del Consiglio a prendere in mano le redini esponendosi pubblicamente su argomenti decisamente complessi e ricchi di insidie interpretative dal punto di vista sanitario.
La difficile e articolata gestione di questa emergenza mi ha fatto ricordare in molti momenti le vicende di Vermicino, dove tante persone di buona volontà si sono prodigate per raggiungere un obiettivo, improvvisando interventi, inventando soluzioni senza riferirsi a una benché minima organizzazione strutturata; e in Protezione civile si sa molto bene che in emergenza quando inventi nuove ipotesi o procedure mai sperimentate prima, sei quasi sempre votato al fallimento. L’esito di quella tragedia è molto diverso da quello che pare essere l’esito di Covid-19, ma le tappe che hanno caratterizzato i due momenti sono molto simili.
Forse possiamo riconoscere che la soluzione dell’attuale crisi non è tutta merito del nostro sistema ma di un sistema più complesso e forse anche sovranazionale. Beneficiamo, in altri termini, degli interventi di qualche direttore d’orchestra che noi non abbiamo nemmeno conosciuto ma che probabilmente ha diretto la sinfonia dall’ombra della sua posizione.
Mi auguro che l’attuale capo dipartimento, che per inciso è arrivato a quella posizione avendo avuto due importanti “maestri” in Bertolaso prima e Gabrielli poi, che ben conoscevano e altrettanto bene svolgevano il ruolo di direttore d’orchestra senza consentire interferenze esterne, possa svolgere il ruolo con le medesime prerogative dei suoi maestri. Fabrizio Curcio dovrà nel prossimo futuro, in risposta a una nuova crisi, poter mobilitare le risorse del sistema nazionale di protezione civile; dovrà poter essere un vero, il vero grande direttore d’orchestra. E’ un auspicio che faccio al mio paese e a me stesso, anche perché so per certo che qualche nuovo guaio ci farà prima o poi visita, nei tempi e nelle modalità dettate dalla legge di Murphy, secondo la quale “tutto avverrà proprio quando non sarai preparato all’evento”.
Tanti auguri Fabrizio!
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