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Quando l'Irpinia crollò

Alle 19.34 del 23 novembre 1980 una scossa di 6.9 di magnitudo durata novanta secondi fece crollare interi paesi tra Campania e Basilicata

Erano le 19.34 del 23 novembre del 1980, era domenica, quando la terra tremò in Irpinia. Novanta secondi che parvero ore, che scossero monti e valli, che fecero crollare case e palazzi, interi paesi. La scossa principale fu di 6.9 di magnitudo. L'epicentro fu individuato tra i comuni di Teora, Castelnuovo di Conza e Conza della Campania. Furono circa 280.000 gli sfollati, 8.848 i feriti e 2.914 i morti.

  

Il sisma causò danni a gran parte della Campania e della Basilicata e in alcune zone della Puglia. Secondo i dati dell'Ufficio del Commissario Straordinario al sisma ci furono crolli in 506 comuni, molti di questi già colpiti dai terremoti del 1930 e del 1962.

 

 

Il terremoto dell'Irpinia fu preso, nei decenni seguenti, a modello negativo per due aspetti principali: il ritardo nei soccorsi e lo spreco di soldi pubblici nella ricostruzione.

  

Numerose furono le inchieste della magistratura sul post sisma. Anche la politica si mosse. Il 7 aprile 1989 venne istituita la Commissione parlamentare d'inchiesta sull'attuazione degli interventi per la ricostruzione e lo sviluppo dei territori colpiti dai terremoti del novembre 1980 e del febbraio 1981 della Campania e della Basilicata. Oscar Luigi Scalfaro fu eletto presidente della Commissione composta fa venti deputati e venti senatori, che aveva lo scopo di accertare quanto realmente lo stato avesse speso, sino a quel momento, per la ricostruzione delle aree terremotate. La relazione conclusiva venne presentata in Parlamento il 5 febbraio 1991: 50.620 miliardi di lire fu la somma totale accertata. Altri ne sarebbero stati stanziati in futuro.

 

Dopo il terremoto in Irpinia per molti mesi, addirittura anni, si iniziò a parlare di prevenzione, di strutture antisismiche, di costruzione e messa in sicurezza preventiva. Quarant'anni e diversi terremoti dopo se ne sta ancora discutendo.

 

"In Italia di interrogarci lucidamente sulla gestione del rischio dei grandi disastri naturali, che non sono solo terremoti. Alluvioni, inondazioni e frane accadono purtroppo ogni anno, per non parlare del “Big One” che incombe sul nostro paese: un’eruzione del Vesuvio, in un’area abitata da milioni di abitanti (per anni, solitaria voce nel deserto sulla scriteriata politica urbanistica vesuviana è stato Marco Pannella). Abbiamo una bassa propensione alla prevenzione anche perché siamo abituati a ritenere legittimo che, in caso di problemi, debba arrivare un finanziamento statale a piè di lista. Il paradigma potrebbe essere ribaltato, immaginando l’istituzione di una assicurazione obbligatoria sulla casa, totalmente detraibile dalle tasse, che copra tra gli altri anche le calamità naturali", scrisse Piercamillo Falasca nei giorni che seguirono il terremoto in Centro Italia del 2016. Ancora poco o nulla è stato fatto.

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