Quello che resta delle abitazioni nelle zone colpite dal sisma nel reatino (foto LaPresse)

Ricostruire la ricostruzione

Piercamillo Falasca

Lo stato ha i suoi doveri. Ma responsabilità e iniziativa privata possono concorrere. Idee su defiscalizzazione choc e assicurazioni. Rivedere l’ecobonus per favorire il consolidamento antisismico. E l’idea di una RC Casa detraibile – di Piercamillo Falasca

Dopo i giorni dell’emergenza, della disperazione e del lutto, il modo migliore per onorare la memoria di chi ha perso la vita nella tragica notte di mercoledì scorso sarà quello di riflettere seriamente sulla gestione dei grandi rischi naturali cui siamo soggetti in Italia. C’è il senso del “già visto” e del “già vissuto” – pensando al terremoto de L’Aquila e ai suoi predecessori – occasioni sprecate per una presa di coscienza che non c’è stata, o è stata molto parziale. Si accusa lo stato di fare poco per la messa in sicurezza del territorio italiano, del patrimonio immobiliare pubblico e di quello privato, ed è vero, perché lo stato fa poco.

 

Eppure, nei terremoti che abbiamo alle spalle, appena è calata la polvere delle case crollate la domanda politica degli elettori si è orientata altrove e lo stato di sicurezza antisismica delle scuole o degli ospedali e la lotta al dissesto idrogeologico sono stati derubricati a temi tra tanti. Le scelte private non appaiono più responsabili di quelle pubbliche, se è vero che gli interventi per la messa in sicurezza antisismica delle abitazioni sono una rarità (c’è l’obbligo solo per le nuove costruzioni o per le ristrutturazioni importanti). Certo, si tratta di spese ingenti – c’è chi le ha stimate tra i 100 e i 300 euro a metro quadro – e le attuali agevolazioni fiscali riguardano solo le abitazioni principali nelle aree a più alto rischio sismico (per farla breve, molte delle case di villeggiatura di Amatrice o di Accumoli non godevano della detrazione del 65 per cento per l’adeguamento antisismico prevista fino al 31 dicembre 2016). Ma se si guarda a quanto ha speso lo stato italiano negli ultimi 50 anni per le ricostruzioni post-terremoto, si scopre che un grande piano di consolidamento antisismico avrebbe fatto risparmiare. Secondo una ricerca del Centro Studi del Consiglio Nazionale degli Ingegneri del 2014, infatti, la somma in valori attuali dei soli interventi statali di ricostruzione realizzati dal 1968 al 2012 (terremoti del Belice, Friuli Venezia Giulia, Irpinia, Umbria-Marche, Puglia-Molise, Abruzzo, Emilia) è stata superiore a 121 miliardi di euro.

 

Secondo un documento della Protezione Civile, un teorico mega-adeguamento antisismico di tutte le costruzioni, pubbliche e private, e delle opere infrastrutturali strategiche costerebbe all’incirca 100 miliardi di euro. Senza considerare, peraltro, che nel confronto tra costo della prevenzione e costo della ricostruzione non è inclusa la voce più importante: la vita delle persone.
Cosa si può fare ora? Anzitutto, andrebbe fatta una scelta delle priorità, fin dalla prossima Legge di Stabilità che attende il governo Renzi. Dal 2010 al 2016, i vari esecutivi hanno stanziato nel Fondo per la prevenzione del rischio sismico una somma complessiva inferiore al miliardo di euro, mentre nello stesso periodo il valore degli importi detraibili per la sola riqualificazione energetica – cioè il famoso ecobonus – supera abbondantemente i 12 miliardi di euro, che si aggiungono agli oltre 60 miliardi di importi detraibili per il recupero edilizio (dati Cresme). Sarebbe forse il caso di immaginare un parziale riequilibrio, favorendo una importante detassazione degli investimenti privati nel consolidamento antisismico: in temi di vacche magre e di vincoli di bilancio, non sarebbe uno scandalo se ciò avvenisse al prezzo di un ritocco al ribasso dell’entità dell’ecobonus.

 

Più in generale, però, è tempo in Italia di interrogarci lucidamente sulla gestione del rischio dei grandi disastri naturali, che non sono solo terremoti. Alluvioni, inondazioni e frane accadono purtroppo ogni anno, per non parlare del “Big One” che incombe sul nostro paese: un’eruzione del Vesuvio, in un’area abitata da milioni di abitanti (per anni, solitaria voce nel deserto sulla scriteriata politica urbanistica vesuviana è stato Marco Pannella). Abbiamo una bassa propensione alla prevenzione anche perché siamo abituati a ritenere legittimo che, in caso di problemi, debba arrivare un finanziamento statale a piè di lista. Il paradigma potrebbe essere ribaltato, immaginando l’istituzione di una assicurazione obbligatoria sulla casa, totalmente detraibile dalle tasse, che copra tra gli altri anche le calamità naturali.

 

Per i dettagli, si rimanda a un focus dell’Istituto Bruno Leoni del 2009 (“Un contributo di idee per il post-terremoto”), scritto subito dopo il terremoto de L’Aquila. Quella di una “RC Casa” non è ipotesi esente da caveat: la necessità di un intervento pubblico non scomparirebbe, si dovrebbe accettare una quota di redistribuzione del rischio tra diverse aree del paese ed eventualmente l’introduzione di franchigie, in alcune zone si rischia di rendere addirittura proibitivo l’abitare. Tuttavia, il vero vantaggio sarebbe l’impulso alla riduzione dell’azzardo morale, attraverso l’intervento di soggetti terzi quali le compagnie assicurative (magari mediate o coordinate da un’autorità pubblica), che per proprio interesse spingerebbero gli assicurati a comportamenti responsabili tesi a contenere gli effetti dei disastri della natura. Si può dire: in Italia il carico fiscale è talmente elevato da rendere proibitivo un suo aggravio de facto. Da qui l’idea di rendere la RC Casa detraibile dalle tasse. Forse si è corso troppo, stante la condizione dell’oggi, ma la proposta di una RC Casa merita attenzione per una questione “morale” di fondo: riappropriarci della cultura della prevenzione come responsabilità individuale e privata, prima che collettiva e politica.

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