Mesut Özil (a sinistra) e Recep Tayyip Erdogan

La foto imperdonabile di Özil

Paola Peduzzi

Il calciatore che lascia la nazionale tedesca per l'immagine con Erdogan ci racconta molto dell’Europa di oggi

Una foto e tutto cambia, non sei più persona gradita nemmeno nella scuola in cui sei cresciuto e in cui vorresti tornare, adulto, perché hai creato un progetto che parla di te, del tuo passato, del tuo presente, della tua fortuna e delle tragedie degli altri: ragazzini immigrati che giocano a calcio con ragazzini tedeschi, il modo più semplice e immediato per parlarsi, per conoscersi, per incuriosirsi, non c’è nulla di più potente per un bambino del “sì” alla domanda: posso giocare con voi?

 

Una foto, e tutto cambia, tutto è cambiato, perché l’Europa in cui viviamo oggi è più sospettosa e ripiegata su se stessa: dimentica la sua straordinaria capacità di attrazione, che è forza assoluta, e si abbandona all’istinto di repulsione, di respingimento.

 

 

La foto è quella ormai famosa di Mesut Özil e di Recep Tayyip Erdogan, scattata nel maggio scorso durante un evento di beneficenza a Londra. Özil è un giocatore di calcio della nazionale tedesca, è nato e cresciuto a Gelsenkirchen, nel North-Vestfalia, da genitori cresciuti in Germania come lui: i suoi nonni erano di Zonguldak, nel nord della Turchia, sulle coste del Mar Nero. Oggi Özil ha 29 anni, gioca nell’Arsenal, fu acquistato nel 2013 per una cifra enorme dal Real Madrid: lì nacque il suo soprannome, “mago di Oz”. Nel 2014, quando la Germania vinse la Coppa del Mondo, Özil era tra i titolari, e quando spiega di che materia è fatta la sua magia dice: tecnica e cuore vengono dalle origini turche, disciplina e concentrazione dalla vita in Germania. Forse non esiste una definizione più esatta del concetto di integrazione: contaminazioni virtuose che generano senso di appartenenza.

 

La foto con Erdogan ha cambiato tutto: Özil ribadisce di non essere un politico, di aver incontrato il presidente della terra dei suoi nonni, e di essere orgoglioso di quello scatto non perché c’era Erdogan, ma perché Erdogan è il presidente della Turchia. Molti autocrati – Erdogan per primo – e anche leader democraticamente eletti – Donald Trump, per dire – tendono con il loro operato e con la loro politica io-io-io a svilire l’istituzione che rappresentano, a trasformarla fino a farla diventare una faccenda personale, ma questo non li rende meno presidenti, li rende soltanto dei cattivi presidenti. Però a Özil la foto non è stata perdonata, e nemmeno per le ragioni più sensate: Erdogan è un dittatore crudele che riempie le prigioni di suoi oppositori, sarebbe meglio non farsi vedere con lui, o al limite avere il coraggio di dirglielo in faccia. Questo sarebbe un punto: boicottiamoli, questi dittatori. Ma sappiamo che non funziona così: i Mondiali in Russia avrebbero dovuto essere boicottati in massa dopo lo scandalo del gas militare utilizzato nel Regno Unito, ma non è accaduto nulla, anzi, ci siamo goduti dei Mondiali bellissimi. Quando Lothar Matthäus, figura mitica del calcio tedesco, ha scattato una foto, poco dopo quella famigerata di Özil, con Vladimir Putin nessuno ha detto nulla, e sì che con la Russia la sensibilità è alle stelle.

 

I diritti umani violati in Turchia non c’entrano nulla con le polemiche contro Özil: se gli dicono che si scopa le capre o di tornarsene nella sua Anatolia, brutto maiale turco, non è perché ha scattato la foto con Erdogan senza ricordargli che è un dittatore. Sono anni che non ce la prendiamo più con i politici che hanno dimenticato il ruolo di custodi delle libertà fondamentali e ora ci sfoghiamo tutti insieme contro il mago di Oz? Semmai sta avvenendo l’esatto contrario: Özil è turco, è musulmano, rispetta le proprie origini e quindi da tedesco integrato torna a essere quel che era, uno straniero. Nella retorica della destra che il solerte Steve Bannon vuole compattare e rendere sempre più ricca e popolare si è riaffacciata l’idea dell’Europa bianca, chiusa nella propria identità originaria, impermeabile alle contaminazioni che sono, secondo questa lettura, pericolose e deformanti. In questa Europa il mago di Oz decide di non giocare più nella nazionale tedesca: direte che è perché ormai è vecchio; direte che è perché la politica d’accoglienza di Angela Merkel è fallimentare. Ma la verità è che alla domanda “posso giocare con voi?” abbiamo preso a rispondere “no”.

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  • Paola Peduzzi
  • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d'amore - corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d'amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l'Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell'Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi