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Discriminato o bollito? Il cortocircuito dietro l'addio di Özil alla nazionale tedesca

Giovanni Battistuzzi

Il trequartista dell'Arsenal è stato criticato e insultato per una foto con il presidente turco Erdogan. "Il trattamento che ho ricevuto non mi fa più desiderare di indossare la maglia della nazionale"

A volte basta una foto a cambiare tutto. Due persone affiancate, una maglia tra i due, sorrisi. Soprattutto quando a essere ritratti sono un calciatore diventato immagine dell'integrazione della minoranza turca in Germania e un presidente turco che dice, con una certa frequenza, che i turchi, anche in Germania, devono sentirsi soprattutto turchi prima che tedeschi. Un cortocircuito che si è trasformato in insulti sui social network e per strada, che ha trasformato Mesut Özil, trequartista dell'Arsenal e della Mannschaft, da uomo copertina, immagine di una Germania calcistica integrata e vincente, a reietto, persona non gradita. Sarà che Recep Tayyip Erdogan non è visto con simpatia in terra tedesca, sarà che la Nazionale ultimante non è poi così vincente, sarà che il vento è cambiato e il modello di integrazione ha fatto intravedere qualche scricchiolio. Quella foto risale a maggio e immortala l'incontro tra i due nel corso di un ricevimento di beneficenza a Londra. Una foto come tante che avvicinano il mondo del calcio a quello della politica. Una foto che però ha innescato prima un giro di silenzi e giustificazioni da parte di Özil – "Non aveva nessun significato politico", "Io ho due cuori, uno turco e uno tedesco", "Per me, non importava chi fosse il presidente, per me era importante che fosse il presidente" – e poi la decisione finale: "Il trattamento che ho ricevuto non mi fa più desiderare di indossare la maglia della nazionale. Mi sento indesiderato. Non è questo il motivo per il quale gioco a calcio. Il razzismo non può mai esser tollerato". Una decisione che "deve essere rispettata", ha commentato tramite il suo portavoce, Ulrike Demmer, Angela Merkel: "La cancelliera apprezza molto Mesut Ozil, è un calciatore che ha contribuito molto alla squadra nazionale".

 


Mesut Özil con Recep Tayyip Erdogan


 

Mesut Özil che è nato a Gelsenkirchen da genitori di origini turche ma nati anch'essi in Germania, lascia la maglia della Nazionale tedesca che ha vestito 92 volte, con la quale ha vinto un Mondiale nel 2014 e grazie alla quale è diventato il simbolo della Germania multietnica.

  

La colpa del trequartista non è stata soltanto posare accanto a Erdogan con una maglia tra loro, una maglia che era un dono, ma soprattutto quella di non capire che quella foto non era soltanto una foto, ma un qualcosa che poteva diventare un simbolo, un altro: la vicinanza dei turchi di Germania, dei quali Mesut Özil è rappresentazione massima da diversi anni, a quel presidente autoritario che non piace molto al governo di Berlino, soprattutto in un momento di campagna elettorale (le elezioni si sarebbero tenute domenica 24 giugno 2018). E questo alla lunga ha deteriorato la figura del calciatore, lo ha trasformato in un bersaglio che ha unito gran parte della popolazione tedesca di origini europee e una parte di quella di origini turche.

 

Una situazione che si è aggravata anche a causa del silenzio della Federazione che mai ha commentato quanto accaduto, all'infausto Mondiale della Nazionale e alle decisioni del commissario tecnico che dopo la sconfitta al debutto in Russia contro il Messico aveva deciso di fare a meno del trequartista dopo una prestazione decisamente sotto tono.

 

La Mannschaft perde un giocatore di raffinata classe calcistica e di altrettanta discontinuità, uno che Günter Grass descrisse come "la perfetta unione tra azione e ozio". Un'indolenza che lo aveva già esposto a critiche nel corso della sua carriera e che oggi ha sintetizzato così sulla Bild Uli Hoeness, presidente del Bayern Monaco: “Sono contento che il fantasma se ne sia andato. Ha passato anni giocando da schifo. L’ultima partita da grande giocatore in nazionale l’ha fatta prima del 2014, vuole nascondere il suo rendimento pietoso dietro quello che si è scatenato dopo la foto con Erdogan. E che due anni fa dal presidente della Deutscher Fußball-Bund, Reinhard Grindel, al quale Özil aveva risposto: "Quando le cose vanno bene applaude i suoi meriti, quando vanno male punta il dito contro gli altri". E che il calciatore è ritornato ad attaccare oggi su Instagram: "Alle persone con atteggiamento razzialmente discriminatorio non dovrebbe essere permesso di lavorare nella più grande federazione calcistica del mondo. Atteggiamenti come i loro semplicemente non riflettono i giocatori che rappresentano. Agli occhi di Grindel e dei suoi sostenitori, io sono tedesco quando vinciamo, ma io sono un immigrato quando perdiamo".

 

  

Perché Mesut Özil è fatto così, uno che non le ha mai mandate a dire, che davanti ai microfoni si è sempre presentato e quando c'era da metterci la faccia ce l'ha sempre messa. E che proprio per questo ha acceso simpatie e antipatie molto calcistiche, quindi irrazionali. Antipatie che diventano insulti quando le cose vanno male, che colpiscono quanto di più incancellabile c'è, ossia le origini.

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