Appartenenza. Un tifoso del Newcastle United reagisce come può agli editoriali del Foglio sulla crisi d’identità dell’occidente (foto LaPresse)

Provocazioni culturali

Jack O'Malley
Kazu Miura è pronto per la serie A, la Liga sembra una partitella al parco. Appello a Ibrahimovic: non fare la fine di Giovinco, please.

Londra. Nell’abbiocco pre e post prandiale delle redazioni italiane ieri ho notato un eccessivo entusiasmo per un gol segnato da Kazu Miura nella serie B giapponese (roba che in confronto il campionato di Holly e Benji era serio). Certo, l’ex giocatore del Genoa ha 48 anni, ma ha pur sempre segnato di testa marcato a due metri da un probabile emulo di Ranocchia in una partita in cui l’agonismo era pari a quello di certe partite a carte in spiaggia dopo pranzo. Eppure ieri il gol di Miura era celebrato ed esaltato ovunque. Vi capisco. Per i vostri standard il giapponese era arrivato in Italia troppo acerbo. Adesso che di anni ne ha 48 potrebbe finalmente espoldere in serie A, e contendere la palma di goleador a Luca Toni. Che aspetta il Milan a comprarlo?

 

Falliti ma a testa alta. Lo confesso. Costretto a seguire la serie A per lavoro, mi sono affezionato a una delle storie più belle e tristi di quest’anno. Quella di una squadra che nonostante il fallimento continua a scendere in campo a testa alta, incurante dei giudizi degli altri, di quello che scrivono i giornali o delle proteste – comprensibili – dei tifosi. Una squadra smarrita, ma che combatte lo stesso, e pur sapendo che il suo campionato è ormai inutile onora gli appuntamenti della domenica e cerca comunque di mettere in difficoltà gli avversari. Spesso non riuscendoci, sia chiaro, ma talvolta fermandoli persino sul pareggio, insperato alla vigilia. E a chi contesta il fatto che sia loro permesso di giocare ancora, chiedo: ma che male vi ha fatto l’Inter?


Charlotte Springer sorride alla macchina fotografica mentre lava i piatti e le pentole dopo il pranzo di Pasqua. Già pensa che tra poco potrà godersi Sunderland-Newcastle, derby che segue da sempre con grande passione


Felpati. Dopo il pranzo di Pasqua con cui mia moglie ha tentato chiaramente di farmi fuori (è pur sempre donna e inglese) ero indeciso se uscire a smaltire la sbobba con una passeggiata al parco o cercare il sonno dei giusti davanti a un match della Liga spagnola, ottimo per sturare. Ho scelto il secondo, ma è come se fossi andato al parco: ho assistito alla farsa Real Madrid-Granada, finita 9-1 come l’ultima partita che ho giocato a calcetto con gli amici panzoni la scorsa settimana. Cinque gol di Cristiano Ronaldo, in perfetta media Fifa (nel senso del videogioco) e azioni come se ne vedono nei parchi la domenica pomeriggio in primavera, quando il caldo ancora non opprime e permette qualche scatto in avanti. Se al posto delle porte del Bernabeu avessero messo due felpe e due biciclette sarebbero risultati più credibili.

 

Keep calm and visto. Leggo con raccapriccio che Ibraimovic avrebbe avviato le pratiche per ottenere il visto per lavorare negli Stati Uniti. Dopo il momento di verità di un paio di settimane fa, quando definì la Francia fin troppo bonariamente “shit country” davanti alle telecamere, era logico che Zlatan se ne sarebbe andato dalla Ligue 1. Qui però urge l’appello, se permettete. Ibra, sei ancora giovane, forte e voglioso. Perché gli Stati Uniti, perché quel campionato che di “calcio” non ha neppure il nome, perché un torneo in cui vanno a finire i bolliti e i Giovinco? Hai vinto campionati farlocchi in serie, in Italia, ne hai vinto uno da mal sopportato in Spagna e un paio in quel torneo condominiale che è il campionato francese. Hai vinto ovunque, tranne a livello internazionale. Hai divertito, segnato gol bellissimi, fatto zuffe memorabili, insolentito arbitri e avversari, guardato tutti dall’alto in basso. Direi che sei pronto per la Premier League, no? Se poi fosse vero che vuoi andare a giocare nel campionato americano, lascia che ti avverta: per quello non serve il visto lavorativo, basta quello turistico.

 

[**Video_box_2**]Numeri. E ora perdonatemi se parlo di calcio. Il weekend di Premier League ha regalato diverse chicche da rivedere (se ve le siete perse andate sul sito di Fox Sports, le ribeccate tutte). Il gol di Rooney in Manchester United-Aston Villa: stop in stile “Lago dei cigni” in piena area e bomba al volo nel sette quando l’occhio del tifoso inesperto già pensava a un tiro sugli spalti. Il capolavoro di Defoe che ha deciso il derby tra Sunderland e Newcastle. Il vecchio panterone la sa ancora lunga, e ficca all’incrocio un pallone imprendibile. Il pallonetto da sessanta metri di Charlie Adam, dello Stoke, per il momentaneo quanto inutile 1-1 a Stamford Bridge contro il Chelsea. La rovesciata di Gomis dello Swansea nel 3-1 dei gallesi contro l’Hull City. Tutti e quattro i gol dell’Arsenal al Liverpool: Bellerin, Ozil, Sánchez e Giroud hanno fatto a gara a chi segnava la rete più bella. Da noi lo spettacolo fa parte del prezzo che si paga per lo stadio o la tv, you know?

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