Elezioni Usa, comizio elettorale di Donald Trump a Hartford (foto LaPresse)

Il riavvicinamento tra Murdoch e Trump è un affare di famiglia. C'è lo zampino di un genero solerte

Paola Peduzzi

Poi Rupert Murdoch e Donald Trump si sono ritrovati. Non con abbracci e pacche sulla spalla, ma si sono ritrovati. Il New York Post, tabloid murdocchiano, a qualche giorno dalle primarie nello stato di New York, che quest’anno sono “importantissime” perché nella confusione totale ogni voto diventa decisivo, ha pubblicato il suo endorsement a Trump. Lo definisce un candidato “rookie”, inesperto ed esuberante, “una superstar potenziale dalle grandi promesse che però commette errori da novellino”, “il messaggero imperfetto di un messaggio vitale, che riflette il meglio dei ‘valori di New York’, e offre la migliore speranza per gli americani che si sentono giustamente traditi dalla classe politica”. Secondo Ross Douthat, columnist conservatore del New York Times che sta raccontando le primarie repubblicane dando spunti culturali originali e imprescindibili, si tratta di un endorsement “poco convinto”, e in effetti il tabloid newyorchese mette in fila le ingenuità di Trump per mostrare che bisogna un po’ lavorare per far sì che un tycoon ciarliero possa entrare alla Casa Bianca. E’ lo stesso schema che usano le donne di casa Trump, soprattutto Ivanka, la figlia, indefessa sostenitrice che ripete sempre a papà: “Sii più presidenziabile”.

 

Secondo Cnn Money, il ruolo di Ivanka è cruciale anche per spiegare il grande riavvicinamento tra Trump e Murdoch. Gli incontri e le conversazioni che ci sono stati tra i due negli ultimi mesi, dopo un inizio di primarie segnato dalle risse tra l’impero di Murdoch e il candidato repubblicano – Trump ha snobbato i dibattiti organizzati da Fox News, ha maltrattato la regina di Fox News, Megyn Kelly, ha sbattuto il telefono in faccia al numero due di Murdoch, il potente e temibile Roger Ailes: parlo soltanto con il tuo capo, gli diceva – sono stati organizzati da Jared Kushner, proprietario del New York Observer e marito di Ivanka. Kushner, classe 1981, è stato soprannominato “l’inviato di Trump presso la comunità ebraica americana”, ha aiutato il suocero a scrivere il discorso pronunciato all’Aipac lo scorso mese, e soprattutto l’ha convinto a trovare un dialogo con Murdoch. Grazie alla sua intercessione, i due big del mondo conservatore, così simili e così animosi uno nei confronti dell’altro, hanno iniziato a piacersi un pochino di più, a considerarsi soprattutto. Così secondo le indiscrezioni ora Rupert non soltanto pensa che Trump sia il nominato inevitabile del Partito repubblicano, ma anche un candidato serio.

 


Primo piano di Rupert Murdoch (foto LaPresse)


 

Per Murdoch si tratta di una giravolta completa. Prima che il suo account Twitter s’addormentasse in seguito al suo matrimonio (aveva annunciato dieci giorni di silenzio, ma forse un silenzio eterno), Murdoch aveva scritto che Trump imbarazzava i suoi amici e l’America intera, aveva commentato i dibattiti elettorali dando sempre a Trump la qualifica di perdente, soprattutto aveva scatenato contro il candidato il suo Wall Street Journal. In un’intervista al New York Magazine, Trump ha detto di essere stato trattato male da Murdoch – “he’s been very bad to me” – e a ogni sondaggio pubblicato in collaborazione con il quotidiano di Wall Street Trump ha commentato: è un colpo di Murdoch a me (e Murdoch gli ha risposto: datti una calmata). Il Wall Street Journal è da tempo uno dei bastioni del partito #NeverTrump, pubblica articoli che smontano le idee di Trump, cerca di spiegare che alternativa sarebbe Ted Cruz, se c’è un lieve calo di popolarità nel campo Trump, di certo il quotidiano economico murdocchiano è il primo a segnalarlo: “La buona notizia è che a nessuno importa del Wsj – ha tuittato Trump qualche settimana fa – Soprattutto a me!”.

 

Qualcosa ora è cambiato. Dopo l’endorsement del Post, il Wall Street Journal ha ospitato un op-ed di Trump stesso e circola con una certa insistenza un tweet ormai vecchio ma significativo di Murdoch in cui diceva: chiunque sia il candidato, a un certo punto dovremo unirci attorno a lui. Non c’è alternativa all’unità, in certe famiglie, si può litigare davanti a tutti, si possono lanciare ciabatte, si può usare Twitter come un’arma contundente, due nonni che si menano fortissimo cinguettando, ma poi quando c’è da scegliere, quando le alternative non ci sono più, esistiamo solo io e te, ecco che si trova una via di dialogo. Il giovane e solerte genero, neopapà innamoratissimo di Ivanka, fa da negoziatore: ci assomigliamo tutti così tanto, perché litigare?

  • Paola Peduzzi
  • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d'amore - corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d'amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l'Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell'Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi