Roman Polanski - foto via Getty Images

Questioni morali

Notizie dal mondo reale: godersi Woody Allen e Roman Polanski si può

Mariarosa Mancuso

È possibile separare l'arte dall'artista? Si può apprezzare l'artista nonostante le sue azioni discutibili? Il comportamento personale influenza quanto apprezziamo o meno un regista o un attore? Le risposte di Claire Dederer 

Claire Dederer ha due figli che fuggono da un museo, la mostra era intitolata “Picasso: l’artista e le sue muse”. Non per via dei quadri, erano turbati dalle informazioni biografiche sulle consorti, tutte più o meno maltrattate (per inciso: non pare una grande idea per una mostra, Picasso aveva altri talenti e non puntava  certo a essere un marito modello; così si crescono generazioni che pretendono dagli artisti non la bravura ma la buon condotta).
 

Claire Dederer ha studenti universitari che le chiedono: “Possiamo ancora ascoltare David Bowie?”. Morto “Ziggy Stardust”, una groupie quindicenne raccontò di aver perso la verginità con lui. Non se ne lamentava, anche se era accaduto sopra un tavolo. Esistono quindi generazioni che non hanno mai sentito parlare di “Sex & Drugs & Rock & Roll” (sta anche nel titolo del più famoso libro sulla nuova Hollywood).
 

Claire Dederer aggiunge qualche atroce dilemma personale: posso continuare a godermi i film di Woody Allen e di Roman Polanski dopo quel che so di loro? L’ha affrontato per la prima volta in un articolo uscito nel 2017 sulla Paris Review: “What Do We Do With The Art of Monstrous Men?”. L’elenco si allunga in questo libro: “Mostri - Il tormento dei fan”. E si allunga la lista dei colpevoli “accertati”: V. S. Naipaul, Norman Mailer, Ezra Pound, Miles Davis, Johnny Depp – chissà perché tutti, ma proprio tutti, dimenticano Charlie Chaplin. E le donne, chiede Dederer? Se vale l’autolesionismo c’è Sylvia Plath, per il disamore materno Joan Crawford.
 

Poi la faccenda cambia. Scrive Claire Dederer: VOGLIO continuare a vedere i film di Woody Allen e di Roman Polanski, ad ascoltare Miles Davis e David Bowie, ad ammirare i quadri di Picasso, a leggere “Lolita” di Nabokov (farsi un pianto con Charlot invece non interessa più a nessuno). Voglio, perché non ha senso privarsi di capolavori e forse perché i capolavori nascono proprio dalla parte oscura di ognuno di noi. 
 

Arriva al punto di sostenere: se non pago il biglietto, ho la coscienza a posto? Se vedo il film a casa di un amico posso non sentirmi colpevole? Ma colpevole di quale reato? Sembra però che le nuove generazioni abbiano deciso di caricarsi sulle spalle tutti i mali del mondo. E soprattutto di restare ignoranti. Anime semplici e genuine come predicava Jean-Jacques Rousseau, che affidò i figli alla pubblica carità.
 

“Al momento non ho una grande opinione degli uomini”, scriveva sul diario Claire Dederer, adolescente a Seattle. Ora ha superato i 50, e si rallegra sul suo sito “Monsters abroad” per ogni nuova traduzione (in italiano è uscito da Altrecose, marchio editoriale nato da una sinergia tra il Post e Iperborea). Alle prese con il “dilemma dei fan”, esamina il caso principe, J. K. Rowling: come può un ragazzino cresciuto con “Harry Potter” accettare che non basta dichiarasi donne per essere tali? 
 

Potrebbe, per esempio, accettare che non viviamo in un mondo magico, che non bastano gli incantesimi o le bacchette magiche, e che a un certo punto la scuola Hogwarts finisce. Sarebbe una soluzione: leggiamo e ascoltiamo quel che ci piace, senza badare all’integrità morale degli scrittori o musicisti. Sarebbe una bella tesi da difendere in un libro. Claire Dederer sceglie l’altra via. Siamo tutti mostri. Tutti abbiamo una parte oscura e inconfessata. Lei, per esempio, era alcolizzata, “un mostro ingestibile” come le madri che abbandonano i figli. Ne è uscita soltanto grazie a un gruppo di sostegno. E rieccola, la scrittura confessionale e che rovina tanti libri. Perlopiù scritti da donne. Che poi finiscono per attribuire all’ex alcolizzato Raymond Carver “una prosa sgraziata”. Sgraziata?

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