Nuovo cinema Mancuso

Il fantasma di Canterville

La recensione del film di Kim Burdon e Robert Chandler, voci originali di Stephen Fry, Hugh Laurie, Imelda Staunton

Mariarosa Mancuso

Da uno dei più bei racconti di Oscar Wilde – possiamo metterlo accanto a “Il compleanno dell’Infanta”, che è triste da morire, mentre questo è esilarante. Scritto nel 1887, quando inglesi e americani – secondo Wilde: due popoli divisi da una lingua comune – si guardavano in cagnesco. La famiglia americana scende dal piroscafo, con l’automobile al seguito, e si dirige verso la magione inglese che, come tradizione vuole, ha il suo fantasma. Un fantasma con le pile scariche, tale Sir Simon Canterville che cerca in ogni modo di spaventare la famiglia. Ma i gemelli pestiferi giocano a palla con la sua testa, le catene cigolanti vengono oliate dai pragmatici americani, e le macchie di sangue che continuamente si riformano sul pavimento vengono lavate via con i moderni detersivi. Poi ci sono gli esorcismi, gli acchiappafantasmi e tutto l’assortimento, per la gioia dei disegnatori e degli animatori. Roba tradizionale, ma mille volte più intelligente e moderna di “Pare parecchio Parigi”, ultimo film di Leonardo Pieraccioni. In camper con il vecchio padre Nino Frassica e tre figli che vogliono esaudire il desiderio di un viaggio tutti insieme. A Parigi. Per finta, girano in tondo nel maneggio e intanto si confessano, si pentono, si abbracciano. Erano meglio – e con molte meno pretese – i pullman con le ballerine, ferme per una guasto nel mezzo della campagna toscana. L’unica che si distingue, per simpatia, è Chiara Francini. Toscaneggiare non è sceneggiare.

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