Perché vedere "Io capitano", meritato Leone d'argento di Garrone

La recensione del film di Matteo Garrone, con Seydou Sarr, Moustapha Fall, Bamar Kane, Hichem Yacoubi, Joseph Beddelem. Il viaggio che non vediamo quando i barconi di disperati arrivano. Un “Pinocchio” ancora più crudele dell'originale

Mariarosa Mancuso

Attori presi dalla strada – sterrata – alla periferia di Dakar. Molto somiglianti ai loro personaggi Seydou e Moussa, non si erano mai allontanati dalla casupola pur sognando l’Europa, il calcio e la musica rap: “Ci faremo firmare autografi dai bianchi”. Matteo Garrone inquadra un Senegal trionfante di colori, con qualche sequenza notturna e l’orrore delle torture libiche. L’ennesima prova per Seydou e Moussa, che partono speranzosi con i soldi dei loro lavoretti. Naturalmente non basteranno. Ogni tappa richiede mazzette extra, e guai a chi cade dal camion strapieno, o non ce la fa a camminare per ore nel deserto.

   

Matteo Garrone ha rischiato, ha studiato, ha girato un film che andrebbe mostrato nelle scuole di ogni ordine e grado, e ai politici tutti. Meritato il Leone d’argento al regista, terribilmente ingiusto il Premio Mastroianni per uno solo dei due (a Seydou Sarr, che ha tratti più europei: non aggiungiamo altro).

   

“Io capitano” illustra quel che non vediamo quando i barconi arrivano, ricostruendo – da storie vere, uno dei protagonisti era sul palco a Venezia – il viaggio dei disperati. Al cinema “Io capitano” finora ha incassato 674 mila euro (è costato 11 milioni e mezzo). Seydou e Moussa parlano wolof, sottotitolati, e un po’ di francese. Da vedere come film di formazione. Oppure una versione di “Pinocchio” – era crudele anche l’originale di Carlo Collodi. Zecchini perduti, la balena, purtroppo manca la Fata Turchina.

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