Rheingold

Mariarosa Mancuso

La recensione del film di Fatih Akin, con Emilio Sakraya, Xatar – brani rap adattati da Frankie HI-NRG

Dalla Siria, dov’era prigioniero nel 2010, alla scena rap tedesca, con il nome di Xatar. Non la classica storia di successo. Sopravvivenza, piuttosto. Giwar Hajabi sta in una piccola cella affollatissima, e torturato. Vogliono sapere dove è nascosto il bottino di un furto avvenuto nei dintorni. Il ragazzo non è del tutto innocente, l’oro avrebbe dovuto pagare i debiti con il cartello degli spacciatori. L’esperienza gli fa ricordare il padre musicista Egbal, imprigionato all’inizio della rivoluzione iraniana nel 1979. La madre, combattente per la libertà, lo aveva partorito in una caverna piena di pipistrelli, il nome Giwar significa “nato dalla sofferenza”. Dopo venti minuti il film diventa quel che promette, la carriera di un rapper di successo. Fuggono a Parigi, e poi a Bonn, la famiglia spera in una nuova vita. Il padre scappa, e Giwar riprende la vita del piccolo criminale. Spaccia cocaina, con tipi che sembrano usciti da un romanzo di Raymond Chandler (pietà per chi lo vedrà doppiato). E via con il rap, genere musicale “by gangstas for gangstas”. I soldi? in mancanza di produttori rimedia al solito modo. Vari generi che si intrecciano, con l’energia che il tedesco-turco Fatih Akin aveva sfoderato nei primi film. Uno su tutti, presentato nel 2004 a Berlino: “La sposa turca” – con la ex pornostar Sibel Kekilli. Rischiò l’espulsione dal concorso. Anche se Sibel aveva smesso da un pezzo (e comunque, il dettaglio non rovina un film ben scritto e diretto).

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