Le mimose al cinema

Anche l'8 marzo ha la sua breve stagione cinematografica

Mariarosa Mancuso

“Women Talking” e “Primadonna”. La rivincita delle donne dalla Bolivia alla Sicilia anni 50

Ora anche l’8 marzo ha la sua breve stagione cinematografica. Meno la gente va al cinema, più i titoli escono raggruppati, nella speranza che uno trascini l’altro, e facciano evento. Qualcosa nella nostra mente diffida del titolo singolo, che rappresenta solo se stesso. La Giornata della memoria una volta produceva solo libri, ha avuto il suo bel catalogo di film in uscita. San Valentino attira tutte le sfumature del rosa. La Giornata delle mimose (ormai insistere sulla parola “donna” può portare guai) ne fa uscire nei cinema un paio. Proprio oggi, in anticipo sul tradizionale giovedì che porta le nuove uscite. Se la coincidenza con lo sciopero nazionale non rovinerà la festa.
       

“Il diritto di scegliere” è il titolo d’appoggio (pensate alle biciclette per bambini, con le ruotine per imparare a pedalare) che accompagna “Women Talking” di Sarah Polley. Si addice perfettamente anche a “Primadonna” di Marta Savina. Un’affermata regista canadese e una regista italiana quasi debuttante (parliamo di lungometraggi) in due luoghi lontani nel tempo e nello spazio, raccontano due comunità chiuse e la difficoltà per le donne di svincolarsi, scappare, ottenere giustizia da un tribunale.

       

 

Sarah Polley porta al cinema il romanzo “Donne che parlano” di Miriam Toews (editore Marcos Y Marcos). “Romanzo” è sempre sospetto, in questa landa conquistata dall’autofiction e dai cuori palpitanti – le donne offrono sempre in materia un generoso contributo, per amor di pace considerato necessario anche se indistinguibile – parliamo di libri e di cinema – dal vasto panorama.    Miriam Toews in una comunità di mennoniti canadesi è per sua sfortuna nata e cresciuta: “La sottosetta più sfigata del mondo”, dice. La vicenda di “Women Talking” è davvero accaduta nel 2019, tra Mennoniti che fra tutti i luoghi sperduti avevano scelto la Bolivia. Le donne e le ragazze si svegliavano con lividi e atroci mal di testa, dolori alla schiena e alle braccia. Tra di loro, sussurrando, lamentavano gli incubi, e lo stordimento che le accompagnava per tutta la giornata. La setta viveva come gli antenati di parecchi secoli fa: unica eccezione, l’anestetico veterinario usato per rendere inoffensive le donne e procedere con gli stupri. 
     

  

Un altro postaccio dove nascere, per una donna, era la Sicilia degli anni 50. Parliamo del Novecento. Eppure certi dettagli ricordano il film di Sarah Polley sui mennoniti. Per esempio il faticoso lavoro nei campi, e l’idea che una ragazza dovesse sottostare alle (numerose) volontà maschili. Padre, fratello maggiore, fidanzato, prete invocato come autorità ultima per sbrigare le controversie. In “Primadonna”, senza il minimo dubbio e senza avvertire chi si rivolge a lui per aver giustizia, è schierato subito dalla parte dei potenti.

     

Marta Savina aveva scritto e diretto il cortometraggio “Viola, Franca”, invitato al festival newyorchese di Tribeca nel 2017. Prodotto da Virginia Valsecchi con la sua società Capri Entertainment, “Primadonna” racconta la storia di una ragazza che rifiuta di sposare il suo rapitore e stupratore. Secondo la norma del codice allora vigente (fu abrogata solo nel 1981), la mossa avrebbe evitato a lui la galera, garantendo a lei una vita di infelicità.

   

Virginia Valsecchi ha genitori importanti, e ha diretto “Il cielo in una stanza”, storie e immagini dal lockdown. Non le faremo il torto, proprio l’8 marzo, di trattarla come “figlia di”. Basta il fastidio per il paginone poco femminista uscito ieri, sulla Stampa: due scrittrici che sempre inneggiano all’indipendenza sono state intervistate in qualità di “compagne di Alberto Moravia”. Una benedizione letteraria che perdura nel tempo.

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