Crimes of the future, noia fantascientifica

Ignaro, davvero o per finta, del fatto che ormai al cinema va pochissima gente, David Cronenberg rispolvera un copione scritto 20 anni fa. Spettatori in fuga

Mariarosa Mancuso

Qualcuno vada lassù in Canadà e spieghi per favore al venerato maestro David Cronenberg come siamo combinati. Al cinema va pochissima gente, chi aveva l’abitudine l’ha persa, solo a ripensare la frase di Italo Calvino “ci sono stati anni in cui il cinema è stato per me il mondo” vengono le lacrime agli occhi. Ci si aspetterebbe un po’ di pietà, dal “maestro degli strumenti ginecologici per donne mutanti” – da pronunciare per favore con il tono con cui ci riferiamo, per dire, al “Maestro del Trionfo della Morte” (Palermo, Palazzo Abatellis).
     

Ignaro, davvero o per finta, di quel che succede nelle sale buie con poltroncine che chiamiamo cinema, David Cronenberg rispolvera un copione scritto 20 anni fa. Lo apparecchia – non si può proprio parlare di regia e messa in scena – senza mai dare un’occhiata fuori dalla finestra. Di che parliamo, alle frontiere del contemporaneo? Di virtuale e ora anche di metaverso. Lui rimane fedele ai corpi mutanti. E li teorizza.  

 

Cosa sarebbe la brutta fantascienza senza la teoria che l’ammanta e intimidisce lettori e spettatori? “La chirurgia è il sesso del futuro”, dice Kristen Stewart, con un brivido da zitella e risultando pure credibile (non è un’attrice, è un mostro di bravura). Contrordine compagni, smettetela di accarezzare lamiere ancora calde di macchine incidentate: era “Crash”, era Ballard, era il 1996.

   

A vedere “Crimes of the future”, la chirurgia sembrerebbe piuttosto l’arte che verrà. In un futuro di mutanti, capita che senza preavviso spunti un nuovo organo dentro il corpo. Già sbuffate? Non avete ancora visto le figure. Viggo Mortensen dorme in un guscio massaggiante, gli organi – come i destini – non crescono senza dolore. Durante le performance artistiche la moglie Léa Seydoux maneggia il bisturi in abito rosso da sirena. Taglia la pancia, mette a nudo l’escrescenza, la rimuove. Se fa schifo così, aspettate di vederla sullo schermo grande.
     

Fuori, tutto è squallore e rifiuti. Dentro la galleria d’arte, bianco e pulizia da sala operatoria. C’è anche la morale della favola. Siccome produciamo tanti rifiuti, dobbiamo imparare a mangiare la plastica. Già, ma digerirla? Mentre ci stanno lavorando, spunta un neonato che la plastica la manda giù senza enzimi. Potevano risparmiarci l’autopsia del neonato? Illusi: e via con il bisturi sul pancino. Altri spettatori in fuga, dove e quando si poteva – noi ci mettiamo sempre di lato, anche se poi restiamo per dovere professionale (o per litigare con chi dice “capolavoro”).

   

Dopo la proiezione ufficiale di Cannes, Variety ha contato sette minuti di applausi. Del resto come si fa, l’abito lungo impiccia, il regista è seduto poche file più avanti. Si aspetta solo il momento di sconsigliare il film agli amici.

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