Photocall del film Triangle of Sadness (foto Ansa)

festival del cinema di cannes

Con Ruben Ostlund a Cannes finalmente si ride

Mariarosa Mancuso

La lotta di classe sbeffeggiata dal "Triangolo della tristezza" in concorso al festival del cinema conferma la contemporaneità del suo regista. Occhi anche su Cronenberg, Martone e Miller 

A Cannes finalmente si ride. Sulla lotta di classe, ma si ride. Ruben Ostlund di “The Square” (ricordate l’opera d’arte mucchio-di-sassi, buttata giù dall’uomo delle pulizie e ricomposta alla meglio?) si conferma regista contemporaneo. Già un bel punto, il resto del festival si divide tra “Crimes of the Future” di David Cronenberg e “Nostalgia” di Mario Martone.

Prima scena, un casting di modelli maschi che si esercitano a far la faccia compunta (per Balenciaga) o allegra (per le low cost come H&M). In ogni caso va rilassato “il triangolo della tristezza” che dà il titolo al film: sopra gli occhi, dove con gli anni verranno le rughe. Seconda scena, una coppia - modello lui, influencer lei - che litiga al ristorante. Per via della tempistica: il cameriere porta il conto, l’influencer ringrazia il fidanzato, lui si sente costretto a pagare, poi si arrabbia: “Un po’ troppo binario, no?”

All’influencer offrono una crociera di lusso - del tipo frequentato dai fabbricanti d’armi, e il personale che dice sempre sì. Il comandante della nave Woody Harrelson se ne sta sbronzo in cabina, ascoltando l’Internazionale. E’ la seconda volta che la sentiamo quest’anno a Cannes; e puntuale nella commedia dello svizzero Lionel Baier sugli sbarchi in Italia - “Continental Drift”, la deriva dei continenti - c’era “Bella ciao”.

Vestito a forza, e costretto a raggiungere i passeggeri per la cena di gala, le previsioni sono pessime. Arriva la tempesta, le bottiglie rotolano sul pavimento, i passeggeri - che intanto abbiamo conosciuto nelle loro fisime - reagiscono ognuno a suo modo. Ubriachi fradici, il comandante americano comunista e il passeggero russo capitalista battagliano a colpi di citazioni. Gli altri vomitano, in una scena da Monty Python. Al mattino tutto è pulito, sul ponte arriva una granata: “Wilson, non sarà una delle nostre”, chiede la vecchietta molto british al marito. Pirati. E non finisce qui.

Dall’australiano George Miller, di anni 77, aspettiamo da tempo il prequel di “Mad Max: Fury Road”, “Furiosa” (quando e come Charlize Theron ha perso un braccio?). Azzoppato dalla pandemia, il regista faceva i provini via Zoom, dovrebbe uscire nel 2024: non contiamoci troppo, con questi incassi in sala sono film fuori misura. E’ arrivato con un divertissement orientalista, tratto da un racconto di Antonia S. Byatt: “Il genio nell’occhio d’usignolo” (Einaudi).

Siamo a Istanbul, il genio va inteso come “genio della lampada”: un gigante nero con le orecchie da elfo che Tilda Swinton si trova nella stanza di Agatha Christie al Pera Palace, rotta una bottiglietta preziosa. Omaggio alla studiosa arrivata per fare una conferenza sulle storie, le favole, i miti (e perché ci piacciono tanto). Il genio è pronto a esaudire i tre desideri, ma lei sostiene di non averne, e sa benissimo che nelle varie versioni finisce sempre male. Lui come un piazzista qualunque racconta le sue avventure alla corte della regina di Saba e Solimano il magnifico. Lei non cede, lui rilancia: “Io so cosa vogliono le donne”.

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