Una scena da "The Batman" con Zoe Kravits e Robert Pattinson  

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I film durano troppo

Mariarosa Mancuso

Tutte pellicole che dovrebbero tornare in sala di montaggio per un bel lavoro di forbici. Koko Chan del King's College sostiene che si allungano per incentivare il pubblico a uscire e a pagare un biglietto. Dubbi

Nel dubbio è sempre meglio chiedere agli esperti, signora mia neanche immagina quante fake news ci siano in giro (e quante professoresse universitarie credulone, altro che spirito critico). I film sono sempre più lunghi, dice il nostro cuore di spettatori, cosicché interrompiamo la sospensione dell’incredulità per suggerire “qui c’era da fare un taglio, questa spiegazione è inutile”. Il cinema inteso come vita con le parti noiose tagliate via non attira più nessuno. 

Non sembrano lunghi solo a noi. Preso atto di alcune spropositate lunghezze, a cui possiamo aggiungere “The Batman”, tre ore meno qualche minuto di durata – il Guardian ha chiesto lumi all’esperta Coco Khan, che insegna Screen Media al King’s College di Londra. Può darsi che siamo noi diventati insofferenti. Ma intanto l’ultimo James Bond “No Time to Die” ha fatto fermare i cronometri dopo due ore e 43 minuti – c’era da rivoltare il personaggio come un calzino, e trovare spazio alle battute femministe di Phoebe Waller-Bridge, ma la fatica si faceva sentire.

L’esperta sostiene che i film si allungano per incentivare il pubblico a uscire e a pagare un biglietto. Una sorta di “value for money”. Sarebbe orribile se gli spettatori dopo il “the end” dicessero “tutto qui?”, abituati come sono a storie che non finiscono mai da vedere senza schiodarsi dal divano. Smentisce però che le lunghezze siano diventate esagerate, è il marketing che ce lo fa credere – forse anche nel senso che arriviamo al cinema sapendo già troppe cose. Quasi tutto, quando si tratta di supereroi, ma il pubblico di riferimento non ne soffre.

Il pubblico va avviato verso le sale perché sono una fonte di reddito ancora insostituibile. Anche per Netflix, che ha appena annunciato di voler investire l’anno prossimo 200 milioni in produzioni francesi. Vuol dire 25 film in uscita nel 2022 e venti altri in lavorazione, che potrebbero aprire alla piattaforma le porte del Festival di Cannes finora precluso, perché “non si chiama cinema se non esce in sala” (in gioco ci sono anche le grosse cifre, sotto forma di anticipo sugli incassi, che il governo francese garantisce ai registi).

L’esperta non trova la situazione molto cambiata rispetto al passato. Lo spettatore insiste: sono film lunghissimi, che dovrebbero tornare in sala di montaggio per un bel lavoro di forbici. Diceva Billy Wilder: in una buona sceneggiatura, uno più uno fa tre. Sullo  schermo vediamo una cosa, poi ne vediamo un’altra, e siamo noi a fare i collegamenti, questo non succede più. Un critico del Times, qualche settimana fa, ha introdotto la categoria critica: “E’ il suo film più personale”. Tra gli esempi, Paolo Sorrentino con “E’ stata la mano di Dio”. Film spudoratamente lunghi, che nessuno per rispetto del maestro osa toccare.

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